POLITICHE SOCIALI

Le politiche sociali strumento di egualianza

La crisi che attanaglia il paese è figlia delle politiche di tagli crescenti allo stato sociale, ai salari, agli stipendi e alle pensioni, ed ha picchiato pesantemente sui settori meno ricchi della società.

Disoccupazione, precarietà e povertà si diffondono e ogni rilevazione statistica ne mostra l’assoluta gravità ed insostenibilità per la maggioranza dei cittadini. Solo la parte più benestante della popolazione vede aumentare i suoi redditi. Il 10 % della parte più ricca del paese detiene il 50% della ricchezza disponibile

Anche i continui tagli ai bilanci dei comuni per le politiche sociali, non aiutano nello stanziamento di risorse adeguate alle necessità dei tempi.

Sarà necessario reperire nuove risorse dal territorio: incrementare la lotta all’evasione fiscale e stanziare comunque più risorse per combattere efficacemente le povertà crescenti.

Il sostegno a chi è colpito dalla crisi

Il comune può e deve mettere al centro della sua attenzione le fasce più esposte alla crisi, i settori della società che ne sono stati più pesantemente colpiti. Se necessario anche rompendo il patto di stabilità interno, osare quello che questo governo non vuole e non riesce a fare. Disobbedire alle imposizioni di una politica suicida. L’unica grande opera oggi indispensabile è liberarci dalla povertà. Oggi è più che mai necessario, e lo sarà ancor più nel prossimo futuro, intervenire nel settore dei servizi sociali, nel sostegno delle famiglie che non sono più in grado di pagare il mutuo o l’affitto della casa, le bollette del Gas, nel creare occasioni di lavoro con l’avvio di opere necessarie alla città che diano opportunità di lavoro ai disoccupati in misura molto più ampia di quanto non sia stato fatto fino ad ora.

Nel nostro municipio noi vogliamo parlare di cittadinanze, di riconoscimento e di valorizzazione delle differenze. Il modo non può che essere una profonda riforma dello stile del governare: il welfare municipale non può essere solo intervento assistenziale efficace, ma pratica costante, ad ogni livello ed in ogni settore, di inclusione, ascolto e promozione.

Quando si parla di abolire le distanze, infatti, si fa riferimento a un processo di modifica culturale dell’amministrare, che cambia struttura e finalità degli uffici e li conforma alla pratica dell’ascolto e della partecipazione. Noi vogliamo che tutti i cittadini e le cittadine siano portatori e portatrici di diritti e risorse: vogliamo un sistema di partecipazione stabile che parta dal protagonismo delle periferie.

Un welfare strutturato in questo modo deve basarsi su un attento ascolto della comunità e sulla rilevazione sistematica e profonda dei suoi mutamenti e delle sue aspirazioni. Un Comune che promuove quell’arte di ascoltare è un Comune che, in modo dinamico e attento, conosce i mutamenti profondi della comunità, rilevandone costantemente i bisogni. Vogliamo un’amministrazione nuova che, in collaborazione con gli altri enti pubblici e tutti i soggetti della comunità, impianti un sistema di ascolto attivo e di osservatorio dinamico sulla disuguaglianza. Vogliamo un Comune che produca ricerca, che abbia gli strumenti per rilevare i fenomeni sociali del proprio territorio, che faccia degli abitanti della sua comunità un costante oggetto di studio.

Se il municipio opera legittimando chiunque viva sul proprio territorio, un Comune che non ha paura degli esclusi e non ha bisogno di difendersi, è un Comune che anzi insegna che l’insicurezza urbana si sconfigge con l’apertura, la trasparenza, la relazione.

Salute e povertà sono inversamente proporzionali. A Padova, negli ultimi anni, è aumentata la stratificazione sociale e la crisi ha prodotto un inasprimento delle disuguaglianze di reddito, di lavoro e di istruzione. Questa situazione produce nuovi fenomeni di disagio sociale e nuovi processi di esclusione.

Ma in una crisi così pervasiva e di lunga durata, dove interi gruppi sociali si allontanano sempre più dalla piena cittadinanza garantita, non si può rispondere a processi profondi con limitate risposte assistenziali, e non è affatto efficace allontanare e marginalizzare i gruppi sociali che hanno meno opportunità di crescita.

L’intervento delle politiche pubbliche deve essere di chiara inversione di tendenza, e di lavoro strutturato di rimozione delle disuguaglianze. I suoi presupposti non possono che essere quelli della nostra Costituzione all’articolo 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Le cittadinanze

Vogliamo costruire una città che impara pratiche e importa saperi dalle storie dei suoi abitanti: Il nostro sguardo è laico, perché solo la laicità permette l’inclusione.

E vogliamo che la nostra città sia progettata e ripensata con l’aiuto dei movimenti delle donne e con lo sguardo femminile attento sulle politiche di bilancio, sull’economia, sul piano del traffico: rigettiamo l’idea che alle donne sia richiesto di parlare solo di pari opportunità.

Vogliamo garantire la libertà di movimento per le persone disabili e fare in modo che il superamento del conflitto tra l’uomo e l’ambiente urbano sia un’assunzione collettiva di responsabilità, dove il Comune diviene garante della partecipazione sociale e dell’autonomia di tutte e tutti, senza distinzione di genere o di provenienza geografica.

Vogliamo anche conservare lo sguardo lungo e fare un’opera efficace di investimento sociale; vogliamo che i giovani trovino spazio e voce per uscire dalla crisi, che ritrovino l’orgoglio di partecipare e di essere protagonisti del proprio percorso di vita. È di questo che il Comune deve farsi carico: attraverso politiche attive di percorsi di autonomia, deve riportare i giovani al centro della sfera pubblica e valorizzarne propensioni e ricchezze.

Le politiche per l’integrazione

In questa città è noto a tutti quale sia stato il nostro impegno a favore di politiche di inclusione per i lavoratori migranti e per le loro famiglie.

Siamo stati i promotori della nascita dell’assessorato all’accoglienza e all’immigrazione, riconoscendo la centralità sociale delle comunità migranti presenti nel nostro territorio.

L’abbiamo fatto per coerenza con i principi di libertà e di uguaglianza che hanno sempre contraddistinto la nostra cultura politica. L’abbiamo fatto spesso controcorrente, conducendo dure battaglie contro i contenuti discriminatori della Bossi-Fini e delle leggi che il centrodestra, promuovendo e speculando elettoralmente sulla xenofobia, ha promosso negli anni in cui ha governato il paese. Leggi che abbiamo tentato di modificare quando abbiamo sostenuto governi di centrosinistra, che mai sono state modificate, né lo saranno nel quadro politico dei governi di larghe intese.

Ci siamo battuti per il diritto di esercitare l’elettorato attivo e passivo almeno nelle elezioni amministrative, abbiamo proposto una mozione, dopo il ripetersi di eventi tragici nel mare di Sicilia, ben prima degli ultimi episodi, chiedendo la fine della pratica dei respingimenti e degli omicidi di massa in mare.

La nostra mozione, presentata in consiglio comunale nel 2009, fu bocciata dal centrodestra e dal PD.

Dopo migliaia di morti nel Canale di Sicilia e dopo i recenti naufragi che hanno causato centinaia di vittime, uomini, donne e bambini, provenienti da paesi in guerra come la Somalia, L’Eritrea, la Siria, tutti in diritto di chiedere legittimamente lo status di rifugiati o richiedenti asilo secondo le norme internazionali, la necessità di porre mano alla legislazione assassina imposta dal centrodestra, Bossi–Fini e pacchetto sicurezza, è diventata un tema quasi trasversale nel dibattito pubblico.

Il nostro impegno sarà quello di continuare percorsi di riconoscimento di diritti di cittadinanza, contro l’esclusione sociale, la ghettizzazione e per rendere questi nuovi cittadini fruitori dei diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione.

In una fase di crisi economica e sociale come quella che attraversiamo, per una città rispettosa dei bisogni di tutti i suoi cittadini è fondamentale pensare a politiche che possano sostenere le famiglie, senza distinzioni, rifuggendo le proposte populiste ed escludenti, discriminatorie e portatrici di insicurezza sociale e odio verso i più deboli.

Importante sarà coinvolgere in percorsi di partecipazione alla vita attiva della città, le numerose comunità immigrate ormai integrate e che nella nostra città lavorano, pagano le tasse e contribuiscono da decenni alla crescita sociale e culturale di Padova.

Vogliamo continuare a sostenere percorsi di accoglienza e di inclusione soprattutto per i ragazzi di seconda generazione, che si sentono padovani, conoscono l’esperienza di emigrazione vissuta dai propri genitori e desiderano, al pari dei giovani autoctoni, un avvenire migliore di quello dei propri genitori.

Rafforzeremo i servizi diffusi sul territorio, in collaborazione con le altre istituzioni della città e con le associazioni del privato sociale. In particolare: corsi d’italiano, servizi di mediazione sociale comunali, mediatori culturali, centro d’informazione servizi, sportello d’informazione scolastica, sportello d’informazione sui ricongiungimenti, sportello per i richiedenti asilo come rifugiati.

Solo una città realmente inclusiva ed includente può rendere i suoi cittadini davvero liberi e eguali.

Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a Padova

Il Contesto culturale di riferimento di un’amministrazione in materia di politiche per l’infanzia e l’adolescenza deve essere la Convenzione Internazionale dei Diritti Dell’infanzia e dell’Adolescenza. Essa è il primo ed unico strumento giuridico internazionale che ha le seguenti caratteristiche:

  1. è giuridicamente vincolante;
  2. incorpora tutti i diritti umani di prima e seconda generazione: civili, politici, economici, sociali e culturali del bambino attribuendo eguale importanza a ciascuno di essi;
  3. compie una vera e propria rivoluzione culturale perché riconosce il soggetto in età evolutiva non solo come oggetto di tutela e assistenza ma anche come soggetto di diritto e quindi titolare di diritti in prima persona.

Con la Convenzione (approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale dell’ONU) per la prima volta nella storia i diritti dei bambini entrano a pieno titolo nel mondo giuridico internazionale. Intendiamo porre al centro della nostra futura azione i suoi quattro principi fondamentali:

  • La non discriminazione (art. 2): tutti i diritti sanciti nella convenzione si applicano a tutti i minori senza alcuna distinzione di sorta.
  • Il superiore interesse del minore (art.3): in tutte le decisioni relative ai minori il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente.
  • Il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art.6): va oltre il diritto alla vita garantendo anche la sopravvivenza e lo sviluppo.
  • La partecipazione e il rispetto per dell’opinione del minore (art. 12) al fine di determinare in che cosa consista il superiore interesse del minore questi ha il diritto di essere ascoltato e che la sua opinione sia presa in debita considerazione.

Queste saranno le fondamenta su cui svilupperemo le politiche locali a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Ci impegniamo a garantire alle attività legate ai diritti infanzia e adolescenza una voce nel bilancio, funzionale ad assicurare risorse dedicate in maniera continuativa e costante.

Nelle città, spesso i cittadini più piccoli soffrono maggiormente degli svantaggi del degrado della vita urbana, essendo privati della possibilità di incontrarsi, socializzare, spostarsi liberamente. Sempre più minacciati da traffico, inquinamento, cementificazione, commercializzazione del territorio di vita; i bambini escono sempre meno da soli di casa, vivendo segregati dagli adulti in luoghi specializzati costruiti con la funzione primaria di proteggerli, sempre e comunque ‘gestiti’ da adulti. Pochissimo tempo dedicato allo stare da soli e autonomamente. Essi sono privati dell’opportunità di movimento ed incontrarsi in luoghi non marcati da adulti. Inoltre il muoversi/l’orientarsi/l’attraversare spazi diversi sono tutte attività che stimolano la crescita ovvero la costruzione personale ed originaria di sé.

Rispetto ai nidi dati in convenzione, deve essere delineato un profilo di appalto etico, che non sia focalizzato sul ribasso dei costi di gestione, ma includa vincoli sociali per i dipendenti, garanzia di continuità lavorativa e progetti educativi incentrati sull’inclusività e la laicità.

Valorizzare i nidi pubblici comunali e la loro lunga e radicata esperienza educativa, facendo dei servizi comunali un riferimento per tutta la rete dei servizi educativi. In particolare, i nidi devono essere riferimento di tipo organizzativo, metodologico, progettuale per i nidi convenzionati e per quelli privati accreditati.

Vogliamo adeguare le rette alla effettiva capacità contributiva delle famiglie, prevedendo ulteriori fasce di contribuzione per i redditi alti allo scopo di ridimensionare le rette delle fasce inferiori.

Deve essere posto l’accento sulla reale partecipazione dei genitori all’interno dei servizi educativi sia pubblici che privati e ridare senso e valore al comitato di gestione quale organo informativo e propulsivo nella vita del servizio.

Bisogna attuare un programma contro la dispersione scolastica di concerto con la conferenza dei sindaci dell’educativo, che preveda l’accompagnamento attivo, il sostegno educativo e la mediazione culturale per evitare il drop out dei ragazzi provenienti da famiglie in disagio sociale.

Le politiche giovanili

Il Comune ricopre un ruolo fondamentale di coordinamento per la costruzione di politiche integrate capaci di rispondere ai bisogni dei giovani ponendo particolare attenzione all’estrema fragilità della loro condizione dettata dalla crisi economica. Per poter fare ciò è necessario che sappia lavorare integrando le competenze per ri-leggere e ri-orientare l’azione, attuando un metodo amministrativo più elastico, capace di andare incontro ai giovani e con loro attivare percorsi partecipati al fine di renderli realmente rispondenti ai bisogni espressi.

Padova ha sul proprio territorio le potenzialità per costruire politiche integrate, grazie all’esistenza di un Informagiovani, e di relazioni decennali con realtà del Terzo Settore che si occupano di aggregazione giovanile.

Nonostante questo reticolo di opportunità, forti sono le richieste che arrivano dai giovani che vivono la nostra città, anche alla luce della dimensione universitaria che la caratterizza. Sono richieste di maggior coinvolgimento nelle scelte della città, maggiori opportunità di espressioni culturale e artistica, sostegno nella ricerca di un’autonomia che arriva in età sempre più avanzate.

Si prospetta uno scenario desolante, nel quale i giovani, considerati motore della società e gambe di questo paese, sono invece fra i soggetti più colpiti dalla crisi e con meno strumenti per poterla contrastare.

In questo contesto sicuramente il bisogno fondamentale che l’amministrazione si trova a dover fronteggiare è la crescente richiesta di lavoro che arriva dai giovani. Se analizziamo i dati sul mercato del lavoro, emerge come la componente giovanile delle nostre città sia fragile, imbrigliata in una crisi che non ha provocato ma della quale subisce le ricadute più pesanti: sia in termini di elevata porzione di disoccupati e inattivi, che in termini di profilo degli occupati: contratti a termine, part-time involontario, bassi salari e mansioni al di sotto del proprio titolo di studio.

Particolare attenzione va rivolta ai giovani esclusi del mercato del lavoro e in particolare coloro che non studiano, non lavorano e non frequentano alcun corso di formazione,

Altro elemento caratterizzante il territorio padovano è la costante richiesta di luoghi aggregativi svincolati dalle dinamiche di mercato e facilmente fruibili dai giovani. Tali luoghi vengono ritenuti indispensabili per combattere e arginare le enormi carenze date dalla situazione di crisi appena citata. Su questo tema sono molti i giovani che da anni si attivano per recuperare e restituire alla cittadinanza spazi di condivisione e partecipazione, i quali hanno cercato, senza successo, un’interlocuzione con il Comune. La difficoltà di costruire percorsi di emancipazione da parte dei giovani, che i dati mettono bene in evidenza, richiede l’individuazione di luoghi capaci di accogliere tali problematicità e di accompagnare i soggetti in percorsi di ri-orientamento e ri-motivazione, che potrebbero trovare una loro legittima collocazione in spazi autogestiti dai giovani stessi. Questi luoghi acquisirebbero un valore aggiunto, diventando ingranaggi di un più ampio disegno di sostegno alle giovani generazioni, salvaguardandone però l’autonomia e lo spirito comunitario.

La città e i saperi delle donne

Le donne sono particolarmente sensibili all’arretramento materiale e culturale determinato dalla crisi perché sono investite direttamente dai processi in atto. Come lavoratrici subiscono più degli uomini l’espulsione dal lavoro garantito e la precarizzazione del lavoro. Come protagoniste della cura familiare sono costrette a fornire con il proprio lavoro gratuito tutti i servizi di assistenza che prima erano pubblici e che con i tagli e la privatizzazione non possono più permettersi: soprattutto la cura dei malati, dei disabili, degli anziani e dei bambini. Le donne subiscono anche gli effetti di una società che esalta la forza bruta, l’arbitrio e la capacità di danneggiare gli altri, caratteristiche di una cultura che disgrega le relazioni sociali e diffonde modelli di relazione fra uomini e donne di tipo gerarchico, cementati da una sessualità ridotta a prestazione e lontana dall’essere, come dovrebbe, una forma di comunicazione e di scambio reciproco. In questa in-cultura amplificata dai media cresce la violenza sulle donne, fenomeno che in Italia è in costante aumento.

È nostra convinzione che il primo passo verso il cambiamento risieda nella certezza che esso possa avvenire. Basta con il sentimento di impotenza! Il secondo passo è promuovere il ritorno di una politica che abbia al centro i bisogni delle persone e di cui le persone sono attrici. Una nuova politica nazionale deve avere la forza di posporre i bisogni dei poteri economici a quelli dei cittadini, una nuova politica locale deve fare altrettanto, sollecitando la partecipazione per dare voce ai bisogni che nascono nella vita.

Diritti di cittadinanza

Con il termine “Diritti di cittadinanza” intendiamo sia diritti di carattere sociale (la casa, il lavoro, la salute, l’istruzione), che di carattere civile (il diritto per ogni cittadina e cittadino alla autodeterminazione per le questioni che riguardano il proprio corpo e le proprie relazioni affettive e sessuali, la libera professione della propria religione, e a seguire la propria opinione filosofica, il diritto di voto, di famiglia).

Affinché i cittadini possano esercitare questi diritti, il Comune deve approntare dei servizi che diano sostanza pratica a leggi e regolamenti nazionali e regionali o che, in qualche caso di vuoto legislativo, ne anticipino l’emanazione cercando di condizionarne i contenuti.

Indipendentemente dalla tipologia di gestione dei servizi, è del tutto evidente che questi devono essere erogati in accordo a criteri di qualità. Fra questi ci interessa mettere in evidenza il fatto che i servizi debbano rispettare il supremo principio della laicità dello Stato in tutte le sue articolazioni, e i principi costituzionali italiani ed europei di uguaglianza e non discriminazione.

Siamo convinti che sia compito anche dell’amministrazione comunale quello di tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l’integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio, ci proponiamo di valorizzare e diffondere la cultura della laicità e per lanciare un pubblico confronto sulla pluralità dei nuclei d’affetto.

Disabilità e cittadinanza

Il diritto di cittadinanza è in primo luogo il diritto a esistere, vivere e muoversi in maniera completa e indipendente. Come è possibile esercitare i propri diritti di cittadino e cittadina se non si è messi in condizione di vivere e muoversi autonomamente nella propria città, in tutta la città? Padova deve essere a misura di tutti i cittadini e le cittadine: le persone abili e quelle disabili, le madri con le bimbe in passeggino, gli infortunati che si muovono appoggiandosi alle stampelle; gli anziani con difficoltà di movimento, chi si muove in sedia a rotelle. È ovvio dire che tutti e tutte debbono avere la possibilità di muoversi autonomamente, meno ovvio è garantire questo diritto.

La Legge n° 13 del 1989 sulle barriere architettoniche è una tra le leggi meno applicate in Italia: ha l’alta finalità di rendere la città – tutta la città – accessibile a tutti: parti comuni dei condomini privati, edifici aperti al pubblico e uffici pubblici, luoghi di lavoro, strade e marciapiedi. Gli edifici debbono essere resi accessibili in tutte le loro parti. Degli edifici pubblici e aperti al pubblico e dei luoghi di lavoro non è sufficiente rendere accessibile solamente la parte dedicata all’utenza o ai clienti, ma si deve prevedere l’accesso anche ai lavoratori disabili. È una importante questione culturale, che investe le competenze dei tecnici che debbono essere in grado di progettare per tutti, e soprattutto di cultura politica, che deve guardare per prima cosa ai diritti dei più fragili. È certamente anche una questione economica, ma la stessa legge indica ai Comuni dove trovare le risorse: devono essere utilizzati gli oneri di urbanizzazione.

Nel 1999, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ridefinito il concetto chi definisce le conseguenze sociali della disabilità che, fino ad allora erano definite handicap. Si parla di “diversa partecipazione sociale”, cioè delle restrizioni di natura, durata e qualità che una persona subisce in tutte le aree o gli aspetti della propria vita a causa dell’interazione fra le proprie menomazioni, le attività svolte e i fattori contestuali. In sostanza si è disabili ma è il contesto che rende handicappati perché ad esempio mancano le infrastrutture adatte: ascensori, scivoli, sensori acustici o visivi. Una menomazione è un fatto fisico, indiscutibile e spesso ineliminabile; l’handicap è l’incontro, spesso lo scontro, tra l’individuo e il contesto e come tale è uno svantaggio riducibile.

Vogliamo lavorare per sviluppare l’obiettivo della piena autonomia anche all’interno del contesto di vita della persona disabile, promuovendo la ricerca sulla domotica e le tecnologie di ausilio anche presso il mondo produttivo e le istituzioni universitarie, e sensibilizzando i privati sugli adeguamenti strutturali da apportare agli edifici.


GLI ALTRI PUNTI DEL PROGRAMMA: