Sommario
Le enormi contraddizioni del tempo in cui viviamo richiedono risposte altrettanto radicali. Non abbiamo più tempo.
I fatti hanno ampiamente dimostrato la insostenibilità di un modello economico e sociale fondato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, del lavoro e del territorio, su una competizione sempre più spinta che mette al centro il mercato e il profitto di pochi contro il bene comune.
Il perseguimento di una crescita senza limiti e senza qualità ha prodotto su scala globale la rottura degli equilibri naturali, il moltiplicarsi degli effetti dei cambiamenti climatici, e l’acuirsi dello scontro tra i blocchi continentali in contesa per il controllo dei mercati.
La guerra in corso in Ucraina è figlia di questo scontro di interessi strategici, di una corsa forsennata agli armamenti, degli interessi del blocco occidentale contrapposti a quelli della Russia e in proiezione futura della Cina. A pagarne le conseguenze certamente i ceti popolari dei paesi coinvolti direttamente, ma anche quelli europei e infine del mondo intero.
La nostra condanna dell’intervento militare della Russia non può essere disgiunta dalla condanna della progressiva espansione della Nato verso est che ha generato squilibrio in un’area di interesse strategico per Mosca.
La convergenza unanime dei blocchi di centrodestra e centrosinistra sulla decisione di invio delle armi al governo Zelenskj conferma ancora una volta che sulle questioni di fondo, strategiche, non c’è divisione ma convergenza tra chi apparentemente si contrappone nelle scadenze elettorali.
Nella sostanza, pur con diversi accenti legati a interessi immediati divergenti, resta la sostanziale convergenza sulle linee di fondo delle politiche incardinate sulla rappresentanza degli interessi della finanza e delle imprese e sulla “fede” nel mercato come regolatore di ultima istanza.
Lo dimostra anche la sostanziale condivisione delle politiche di austerità che hanno determinato il progressivo peggioramento delle condizioni delle lavoratrici e dei lavoratori e dei ceti popolari negli ultimi decenni, e che hanno avuto base fondante nei trattati europei a cominciare da Maastricht, che tutte le componenti del centrodestra e centrosinistra hanno condiviso nel parlamento italiano e in quello Europeo, compresa la Lega e gli stessi esponenti della destra che hanno dato vita a Fdi.
I tagli alla sanità, alla scuola pubblica, le privatizzazioni, la precarizzazione insostenibile del mercato del lavoro sono gli esiti delle politiche dei governi che si sono succeduti negli ultimi decenni nel nostro paese, indifferentemente a guida di centrodestra o centrosinistra, oppure tecnici.
Questa convergenza sul terreno della sostanza delle politiche concrete, si è manifestata con chiarezza nelle scelte più importanti fatte nella nostra città negli ultimi 5 anni, ma anche prima, a cominciare dalla privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Dalla costruzione del nuovo ospedale di Padova Est, alla chiusura del consorzio Zip, alla ulteriore privatizzazione del trasporto pubblico locale, al progetto della Tav, il disegno della crescita sulle grandi opere, la riduzione degli spazi dell’intervento pubblico, hanno mostrato ancora una volta una lineare condivisione del centrodestra e del centrosinistra, del partito unico del PIL, ancorato in maniera unanime ad un’idea di sviluppo che non cambia, nonostante i guasti prodotti e le necessità di una rottura radicale.
Linee generali della nostra proposta programmatica
Crediamo serva un nuovo modello di mobilità che incentivi l’uso del trasporto pubblico e di mezzi non inquinanti (per questo abbiamo avversato la fusione minoritaria tra APS Holding e Busitalia), così come perseguiamo l’obiettivo della riqualificazione energetica degli edifici, e la chiusura dell’inceneritore di Camin, con l’adozione in tutta la città della raccolta differenziata porta a porta spinta e l’opposizione all’arrivo di rifiuti da bruciare da altri territori.
Crediamo, inoltre, che si debba puntare su un turismo ecocompatibile, di qualità e ricorrente, che coinvolga l’intero spazio urbano, i suoi monumenti e luoghi del vivere, rispettandoli: vogliamo una “città museo diffuso vivente e vissuto”, come l’area delle Piazze e del Palazzo della Ragione, dimostrano tutti i giorni, da secoli.
Riteniamo che le tematiche ambientali e culturali si leghino fortemente alla dimensione sociale dei cittadini, sempre più in difficoltà e colpiti, anche nella nostra Padova, dalla crisi economica.
La mancanza di posti di lavoro e la precarietà anche nel nostro territorio, stanno producendo l’impoverimento di sempre più numerose famiglie e cittadini, generando malessere, sfiducia, insicurezza, paura per il futuro e peggioramento della qualità della vita.
E’ necessaria un’azione amministrativa che ascolti i bisogni diffusi, che non insegua utopistici e populisti modelli securitari ma che ascolti la sofferenza, che non sia sorda alle sollecitazioni di chi cerca di contribuire alla vita della nostra comunità, che non chiuda i palazzi del potere o che alimenti insicurezza sociale, ma che apra alla partecipazione della cittadinanza alle scelte e al perseguimento degli obiettivi.
Padova, infatti, contiene in sé una grande ricchezza: una diffusa cittadinanza attiva, organizzata in associazioni e comitati, impegnata nelle tematiche del sociale, della cultura, dell’economia, dell’ambiente, del lavoro e dei diritti. Da questa ricchezza vogliamo ripartire con questo programma, assumendo come visione principale, quella di chi è a rischio di esclusione sociale: anziani, precari, disoccupati, migranti, famiglie sfrattate, commercianti e piccoli artigiani vampirizzati dalla crisi, giovani, studenti e bambini. Sono questi i soggetti veri che abbiamo incontrato e continuiamo ad incontrare ogni giorno, nei nostri sportelli sociali e nei gruppi di acquisto popolari e da loro siamo partiti, dal loro punto di vista e dalle loro proposte, che costituiscono la base del nostro programma, per offrire quelle risposte alla crisi che chi ha governato Padova in questi anni non ha saputo o voluto dare.
Vogliamo proporre un percorso che coinvolga i cittadini padovani verso un nuovo modello di città, dove la democrazia dal basso, la solidarietà, la trasparenza e il collaborare insieme, rifondino una nuova idea di comunità alla quale si appartiene e dove ciascuno possa dare il suo contributo di idee.
Una comunità dove nessuno rimanga indietro, democratica, laica, giusta, solidale e generosa, che ponga al centro la crescita del benessere di ogni cittadino: una Padova dove siano i cittadini a decidere le scelte da compiere e non i grandi interessi immobiliari o le diverse corporazioni.
Una Padova che rimetta al centro il “comune”, e ciò che è utile alla comunità, che incentivi la scuola pubblica, che blocchi la mercificazione del territorio e dell’ambiente, che riparta dall’applicazione dei risultati del referendum sull’acqua pubblica, che si schieri contro gli interessi finanziari e immobiliari, che promuova una cultura della pace urbana e della convivenza, che proponga un nuovo welfare municipale, che sappia favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e che sappia riconnettere le tante e diverse Padova, a partire da quelle di periferia.
Il lavoro e il reddito le prime emergenze
Siamo dentro una crisi senza precedenti. Una crisi che si approfondirà e che avrà effetti devastanti se non si prenderanno le misure necessarie per farvi fronte. Il coniugarsi degli effetti dei cambiamenti climatici con quelli legati alla guerra e al perdurare della pandemia in aree strategiche per l’economia globale hanno e avranno drammatiche conseguenze sulle condizioni di vita di larghi settori della nostra società, già segnata dal crescere della povertà assoluta e relativa, da ampie fasce di lavoro precario e sottopagato e da un vasto tessuto produttivo e dei servizi che su questo basa la sua stessa esistenza.
Anche a Padova esiste un’area vasta di lavoro precario e sfruttato nel settore dei servizi, nella diffusa rete degli appalti pubblici e privati, in settori della produzione e del commercio. Il crescere del costo della vita, in particolare nei consumi di massa, è difficilmente comprimibile. Non è con politiche di tamponamento o di sostegni assistenziali ridotti all’osso che si risolvono queste contraddizioni lasciando al mercato o al privato il governo dell’Economia. È necessario il rilancio di un ruolo centrale del pubblico nel governo e nella programmazione degli interventi necessari a far fronte ad una condizione sociale destinata ad aggravarsi e alla probabile contrazione del settore
Il piccolo commercio: grande risorsa del territorio.
Anche nel settore del commercio, le scelte dell’amministrazione si sono basate su uno scriteriato sviluppo della grande distribuzione determinando di fatto un regime di concorrenza sleale, aggravato dalla liberalizzazione degli orari di apertura, di cui si sono avvalsi soprattutto i centri commerciali e che ha portato alla progressiva chiusura dei piccoli esercenti del centro e dei quartieri periferici. Questa scelta sbagliata, da noi sempre contrastata fuori e dentro le istituzioni, ha portato alla cancellazione di sempre più negozi di vicinato, producendo desertificazione dei nostri quartieri, insicurezza e, non da ultimo, perdita del lavoro e del reddito degli esercenti che hanno chiuso le proprie attività.
Dunque, la nostra proposta principale è quella di dire basta a nuove grandi strutture di vendita e sostegno al piccolo commercio.
Riteniamo inoltre necessaria una nuova politica fiscale comunale. Proponiamo una rimodulazione delle tasse locali prevedendo degli sconti fiscali in base a determinati criteri e caratteristiche che le attività commerciali presentano.
Crediamo sostanzialmente iniquo il sistema fiscale comunale attuale, non progressivo e penalizzante soprattutto per i piccoli e per i nuovi esercenti. Continuiamo a proporre, un significativo abbassamento dell’aliquota IMU per tutti quei proprietari che esercitano la loro piccola attività all’interno del proprio immobile: riteniamo sia ingiusto far pagare le stesse aliquote a chi dal proprio locale ricava un reddito da affitto e a chi invece utilizza quel locale per il proprio lavoro.
Cancelliamo la precarietà: il lavoro nel Comune.
I flussi occupazionali evidenziano crescenti difficoltà di accesso e permanenza nel mercato del lavoro.
Infatti i dati che le diverse agenzie danno dei flussi occupazionali sottolineano che negli ultimi anni gran parte dei nuovi rapporti di lavoro sono stati caratterizzati da forme contrattuali atipiche e precarie.
Dal canto suo, il Comune ha una forte responsabilità sulla diffusione del precariato in città, dato che all’interno delle aziende partecipate e nei servizi esternalizzati si fa spesso ricorso a lavoratori precari e molto spesso mal pagati.
Le aziende partecipate sono pagate da tutti: è tempo di affermare che la loro responsabilità sociale non può rimanere un enunciato teorico; la presenza degli enti locali e delle amministrazioni comunali nelle società partecipate deve tradursi in atti concreti a difesa di un lavoro degno e non ridursi a una mera gestione economica: tra diritti dei lavoratori e profitto siamo e saremo sempre dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori.
L’amministrazione comunale deve contrastare il ricorso ai rapporti di lavoro atipici, anche attraverso la creazione di un albo delle imprese virtuose che assumono solo con contratti a tempo indeterminato.
Un nuovo modello economico per Padova.
Pensiamo vada cambiata la pratica dell’uso del Patrimonio pubblico della città, fino ad ora utilizzato solo per reperire fondi in maniera speculativa, attraverso vendite a privati con conseguenti aumenti di cubatura, per metterlo a disposizione di percorsi che possano creare reali opportunità di lavoro.
Questi percorsi si possono attivare coinvolgendo le associazioni, i movimenti, i singoli che da anni operano sul territorio, favorendo nuove relazioni sia economiche che sociali, favorendo produzioni di filiera corta e locale, tutelando l’economia esistente.
Sono molti i luoghi in degrado a Padova, sia pubblici che privati: pensiamo alle aree degli ex macelli comunali, o alle tante aree ancora agricole ma inutilizzate, ai numerosi siti industriali dismessi. Luoghi inutilizzati e spesso insicuri. Crediamo che non sia più il tempo di trasformazioni urbanistiche e di ulteriore cementificazione, ma che sia il tempo di un uso sociale di questi spazi, per dare possibilità concrete a singoli o a gruppi di costruirvi il proprio percorso lavorativo.
Ma queste nuove esperienze di lavoro dovranno avere la caratteristica di essere utili anche alla comunità in cui operano, dovranno mirare al benessere del territorio, e creare occupazione di qualità
Il turismo culturale, una ricchezza per Padova.
Investire sulla cultura quale fattore dello sviluppo territoriale è una delle risorse che la nostra città possiede, proponiamo quindi di agire sulla valorizzazione del patrimonio artistico, monumentale, culturale e ambientale di Padova sviluppando un turismo stabile in aggiunta al sistema fieristico
Le risorse ambientali ed architettoniche, il paesaggio storico della nostra città sono una risorsa con la quale si possono promuovere progetti culturali, ambientali e artistici, come ad esempio gli eventi che si organizzano, avvenimenti partecipati da tutta Italia e che raccolgono un pubblico numeroso.
Vogliamo perciò sviluppare un turismo che sia attratto da Padova come città d’arte dai tesori inestimabili, da visitare non solo come tappa prima di raggiungere la vicina Venezia, ma da conoscere insieme ai suoi luoghi e monumenti unici. La Cappella degli Scrovegni, il Palazzo della Ragione, il sistema delle Mura, con il suo patrimonio ambientale e paesaggistico, se inseriti in un circuito di promozione turistica di qualità, possono portare alla città molti più vantaggi di quelli fino ad ora ottenuti. In questo contesto va inserito anche l’importante riconoscimento dell’Unesco.
È del tutto evidente però che lo sviluppo turistico della città, della valorizzazione del suo patrimonio culturale e artistico, deve avere ricadute positive che devono riguardare tutti i soggetti coinvolti, in primo luogo le lavoratrici e i lavoratori che lo rendono possibile con la loro fatica quotidiana. Tra i settori più coinvolti nelle dinamiche della precarizzazione del lavoro e dello sfruttamento troviamo sicuramente il settore alberghiero e quello della ristorazione. Su questi settori va fatto un preciso lavoro di inchiesta e investimento per valorizzare il lavoro, qualificarlo e renderlo compatibile con condizioni salariali e normative dignitose.
L’ambiente e il territorio
Padova è una delle città più inquinate d’Europa: i volumi di traffico che la attraversano quotidianamente producono effetti gravi sulla salute dei cittadini in particolare tra i bambini e gli anziani, provocando malattie all’apparato respiratorio, asma, bronchiti croniche, tumori.
Una situazione grave più volte segnalata dalle statistiche mediche, che ha effetti pesanti sulle vite delle persone e che si riversa pesantemente sui costi della sanità pubblica. Per queste ragioni siamo più volte intervenuti, negli anni, perché il Comune, responsabile della salute dei cittadini nella persona del sindaco, sviluppasse politiche concrete per contrastare questi fenomeni.
Nel 2004, insieme alle forze che diedero vita alla coalizione di centro sinistra che vinse le elezioni amministrative, elaborammo un programma per la città di Padova che proponeva il blocco alla costruzione di nuovi parcheggi e di incentivare l’uso dei mezzi pubblici per ridurre il traffico in città.
Naturalmente quel programma non si è realizzato per la forte opposizione di commercianti e categorie economiche che influenzano in modo trasversale la politica cittadina,
Dagli anni in cui è stata costruita la prima linea dell’inceneritore, ci siamo opposti alla realizzazione di quest’opera. Per dare continuità, per ottenere risultati concreti, nel periodo 2004/2009 che ci vedeva al governo della città, nel 2008 abbiamo portato in consiglio comunale e in giunta la proposta della raccolta differenziata spinta e quella della chiusura della prima e seconda linea dell’inceneritore. La raccolta differenziata spinta, si sta diffondendo da due anni nei quartieri, ma le tre linee dell’inceneritore continuano a funzionare alla grande, a garanzia degli investimenti di Acegas-Aps ieri e dei profitti di Hera oggi. Oggi la proposta è quella di una nuova quarta linea che porterebbe alla chiusura delle due più vecchie ed obsolete, ma aumentando i volumi di conferimento.
La nostra proposta rimane quella di sempre: di perseguire l’obiettivo “rifiuti zero” abbandonando quelle logiche che fondano lo smaltimento dei rifiuti su interessi politici, economici e finanziari (spesso con infiltrazioni criminali), che fanno della gestione e dello smaltimento dei rifiuti un affare colossale che da ottimi profitti sulla pelle dei cittadini.
Rovesceremo l’impostazione di chi ha voluto, con la vendita di Acegas-Aps a Hera, privilegiare la logica del business dell’incenerimento e i profitti di impresa rispetto al diritto primario alla salute dei cittadini.
Lotta all’inquinamento, tutela del territorio e del verde, tutela della salute.
Nel momento in cui ci troviamo a convivere con l’emergenza ambientale per molte delle città europee, tra le quali Padova detiene un preoccupante primato per inquinamento, misurato sullo sforamento dei limiti di ozono e quello dei livelli PM10, si rende necessario riconsiderare il modello di sviluppo in cui viviamo, e le responsabilità delle amministrazioni locali che hanno gli strumenti per incidere su questi fenomeni e debbono prendersene carico.
Le manifestazioni di quanto sia urgente affrontare i problemi sopra citati sono sotto gli occhi di tutti, e comprendono questioni che sono dentro la quotidianità di ogni cittadino: mobilità, inquinamento, cementificazione, rischio idrogeologico, rifiuti. Come è evidente che la lotta per la difesa del territorio è diretta non solo a tutela delle risorse ambientali e culturali, ma allo stesso tempo contro gli interessi di speculatori e palazzinari.
Recupero dell’esistente e cura del territorio.
La nostra Regione, e la nostra città, negli ultimi 30 anni sono state sottoposte ad una continua riduzione di aree verdi per costruire zone industriali, aree commerciali, strade, tangenziali e parcheggi. Un consumo di territorio demenziale con cemento e asfalto che non permette l’assorbimento delle acque piovane da parte dei suoli.
Di conseguenza, le piogge più intense e prolungate provocano ondate di piena improvvise e sempre più cospicue che in pochissimo tempo si riversano in una rete idraulica (fiumi e canali) che è stata progettata e costruita quando il Veneto era occupato soprattutto da campi agricoli. Insigni studiosi hanno lanciato, da molto tempo, precisi e documentati allarmi sul rischio idraulico, affermando addirittura che se le dimensioni dei fenomeni degli ultimi tempi avessero avuto le stesse dimensioni del 1966 i danni sarebbero stati 100 volte più grandi, una tragedia dalle proporzioni immani.
E’ possibile intervenire adeguatamente per scongiurare questi pericoli solo con una adeguata azione di prevenzione che si sottragga alla gestione dell’emergenza.
Per quanto riguarda Padova città, speriamo che ormai sia chiaro che è necessario pensare a opere straordinarie per scongiurare le alluvioni tremende che potrebbero essere causate dall’esondazione del canale Scaricatore, vera spada di Damocle pendente sulle teste dei padovani, nonché ad uno stop necessario a nuove lottizzazioni nelle aree della città a rischio idrogeologico. Tale proposta, ovvero una necessaria moratoria di nuovo cemento su zone già colpite da allagamenti, è stata da noi già avanzata in consiglio comunale nel 2011, ma è stata disattesa dall’amministrazione uscente e sarà una delle prime azioni che intraprenderemo per tutelare i cittadini, la loro salute, e le loro abitazioni.
Pensiamo inoltre che si debba spingere in maniera più incisiva verso la realizzazione di un’opera molto importante, in parte già realizzata, ovvero l’idrovia Padova-mare, ritenuta dagli esperti l’unica e concreta possibilità di incidere sul precario equilibrio idrogeologico
Appare evidente a tutti che l’unica grande opera di cui abbiamo bisogno è il risanamento del territorio, la sua cura e il riassetto idrogeologico.
Si tratta di interventi che non solo sono necessari alla nostra sicurezza e possono migliorare la qualità della vita di tutti, ma sono anche importanti per creare nuovi posti di lavoro, nuove opportunità anche qualificate per i nostri giovani.
Riqualificazione delle aree periferiche.
L’amministrazione deve reindirizzare un settore dalle grandi potenzialità come quello dell’edilizia verso interventi di rigenerazione e riutilizzo dell’esistente, implementando la riqualificazione non solo energetica del patrimonio edilizio ma anche avviando percorsi adatti a produrre nel tempo una significativa riduzione dei maggiori impatti ambientali, sostituendo impianti e strutture obsolete con i più nuovi ritrovati della tecnica. Tali azioni sono un tema prioritario dell’amministrazione che deve mettere in atto un vero e proprio piano d’azione strutturato fra città e campagna. Non più grandi opere quindi, ma un nuovo e ampio piano di manutenzioni ordinarie utili e necessarie per promuovere la riqualificazione, la messa in sicurezza degli stabili pubblici, delle scuole (quando di pertinenza comunale), la prevenzione e salvaguardia del territorio, la cura del paesaggio, la qualità del vivere.
E’ sotto gli occhi di tutti il degrado delle nostre periferie urbane, dove ai capannoni industriali dismessi, alle aree agricole trasformate in depositi di materiali a cielo aperto, vanno aggiungendosi continuamente nuovi centri commerciali e nuovi piccoli agglomerati urbani, completamente scollegati dalla parte rimanente della città. Il fenomeno del consumo incontrollato di suolo agricolo ha ormai assunto soglie allarmanti. In questo senso proponiamo:
- prevedere lo studio e la valutazione quantitativa dei costi-benefici per la città degli aspetti economici, ambientali (es. VIA) e di salute-benessere di qualsiasi grande progetto;
- presentazione degli studi ai cittadini (trasparenza), corredata inoltre dal ricorso alla consultazione dei cittadini (referendum).
Estensione delle aree verdi e dei parchi.
Le aree verdi e in particolare i grandi alberi nei viali e nei parchi rappresentano l’elemento strategico più importante di una città sostenibile, il fulcro ecologico del benessere psicofisico e ambientale dei cittadini stressati dal traffico, intossicati dall’inquinamento, intristiti dal cemento. Il verde a Padova occupa solo il 2.69% della superficie comunale e la copertura alberata rappresenta meno della metà (si immagini, per confronto, che New York ha il 20% di copertura in alberi). A fronte di ciò proponiamo:
- l’allargamento delle aree verdi, laddove possibile, recuperando aree degradate o dismesse (es. “parco” di via fra Paolo Sarpi, area cavalcavia Borgomagno, ex caserma Prandina, etc;
- il reimpianto nei viali e nei parchi di migliaia di grandi alberi (platani, tigli, olmi, bagolari).
Questo aiuterà a rinfrescare una città desertificata e tropicalizzata, a ridurre gli inquinanti e il rischio idrogeologico, ad abbattere la Co2.
L’agricoltura urbana come riqualificazione del paesaggio e valorizzazione del territorio, opportunità di lavoro.
Partendo dai terreni comunali, si devono prevedere forme di assegnazione a soggetti singoli e associati che producano colture di qualità, valorizzando le produzioni locali e biologiche, inserendo percorsi sociali e cooperativi per incentivare un’attività agricola di prossimità. Si tratta di stabilire nuove forme di gestione del patrimonio agricolo dismesso in chiave produttiva ma anche sociale e culturale, sulla base degli esempi offerti dalle esperienze di orti e giardini condivisi, del ritorno dei giovani verso l’agricoltura di qualità e biologica, dei gruppi di acquisto e delle esperienze di servizi educativi e sociali in campo agricolo.
Già nel 2009, proponemmo in consiglio comunale di salvaguardare alcune aree da destinare ai distretti di economia solidale : tale proposta, accolta, deve vedere ancora la sua piena realizzazione.
Da non tralasciare l’importanza dell’accesso e dell’uso pubblico delle aree agricole anche come spazi verdi e luoghi di uso e produzione culturale. Questa integrazione su suolo agricolo di pratiche produttive e di servizi alla città e alla cittadinanza, trasforma i terreni periurbani in un luogo per la sperimentazione di nuove forme di imprenditoria sociale, in grado di contribuire alla riduzione della disoccupazione e alla implementazione dei servizi.
Dobbiamo inoltre prevedere una riflessione di area vasta e di concerto con i Comuni limitrofi per costruire un vincolo di destinazione sui terreni agricoli. Tali terreni, pubblici e privati, presentano, dal punto di vista della potenzialità produttiva agricola, una opportunità unica di riqualificazione e cura della città, nonché di creazione di nuovi posti di lavoro.
Vogliamo realizzare, con la collaborazione delle associazioni di categoria, una “Banca della terra” che favorisca lo sviluppo di una nuova occupazione nel settore agricolo attraverso il ritorno ad usi agricoli dei molti terreni oggi abbandonati o sottoutilizzati per colture di scarsa redditività
Nuove politiche abitative: diritto all’abitare
Abbiamo molto criticato in questi anni la gestione delle politiche per la casa portate avanti dalla giunta comunale uscente: già nel 2009 l’amministrazione comunale preferì vendere le case pubbliche, anziché metterle a disposizione di chi ne ha diritto e bisogno.
Già 5 anni fa si intuiva come la crisi economica avrebbe toccato anche la nostra città, e come la disoccupazione, la cassa integrazione, l’aumento della precarietà avrebbero inciso sui bilanci delle famiglie, mettendo a rischio la possibilità di pagare un affitto e mutuo.
Eppure le politiche per la casa in città sono state relegate a mera gestione dell’esistente, che è diventato spesso gestione delle emergenze, senza la minima capacità di programmare interventi che potessero dare risposte a chi rischia di perdere la casa per mancanza di reddito.
Nell’ultimo anno, l’aumento esponenziale degli sfratti per morosità, ha fatto si che i centri di accoglienza della città fossero costantemente pieni e che la giunta chiedesse aiuto addirittura agli alberghi della città per ospitare le famiglie di sfrattati; anche nel preciso momento in cui scriviamo queste frasi, gli alloggi vuoti e in vendita del Comune sono circa 20 (pubblicati sul sito Padovanet), mentre le famiglie alloggiate nei centri di accoglienza sono svariate decine. Ma che modo è questo di fare politiche per la casa? Si spendono soldi di tutti per alloggiare famiglie in strutture private e si svendono le case popolari pagate dalle nostre tasse anziché darle in affitto a chi ne ha diritto e bisogno!
Anche il recupero e la messa a norma del patrimonio di case comunali esistente, a parte negli ultimi mesi che servono alla propaganda elettorale, è stato un punto di governo totalmente disatteso dalla giunta uscente, così come i percorsi di reperimento di alloggi sul mercato privato da dare in locazione a famiglie in difficoltà.
Negli anni che vanno dal 2004 al 2009, anni in cui abbiamo partecipato attivamente al governo di Padova, avendo responsabilità proprio sulle politiche abitative, uno dei punti del nostro programma, che aveva trovato riscontro anche nel resto del centrosinistra, era quello di aumentare le disponibilità del patrimonio pubblico abitativo e di garantire il diritto all’abitare.
Nonostante ciò, la nostra impostazione politica sul diritto all’abitare, diritto universale riconosciuto dalla nostra Costituzione e dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è stato all’ora oggetto (e lo è ancora), di un furibondo attacco populista atto ad alimentare una disumana campagna razzista e xenofoba contro i cittadini immigrati nella nostra città, accusati di rubare le case agli italiani con la complicità dell’amministrazione. Mentre spargevano odio, gli allora difensori degli interessi dei “padovani” e dei veneti pare si prodigassero per fare avere ai loro amici, ed agli amici dei loro amici, le case popolari del centro storico, pagate con i contributi Gescal dei lavoratori: ricordiamo le inchieste recenti della magistratura in tal senso.
Eppure, in quei cinque anni di mandato si sono realizzati forti investimenti, sono state recuperate case popolari da inquilini che non ne avevano più diritto, sono stati acquistati, ristrutturati centinaia di alloggi, si sono sviluppati accordi con le associazioni dei piccoli proprietari per reperire case da dare in affitto a prezzi calmierati, si sono raddoppiati gli stanziamenti per l’aiuto all’affitto. Una politica alternativa ai disegni dei governi di centrodestra e della regione segnati da un opposto indirizzo, quello della vendita del patrimonio pubblico e della sua sostanziale dismissione.
Questa linea, che ha significato negli anni 2004/2009 politica di sfratti zero, avrebbe dovuto essere perseguita e sviluppata con ancora più forza in questi anni della crisi, per andare incontro al bisogno crescente delle tante famiglie oggetto di sfratti e pignoramenti, o semplicemente prive dei mezzi per accedere a un mercato dai prezzi impossibili per salari e stipendi falciati dalla riduzione del potere di acquisto. Ma così non è stato: la giunta uscente ha messo in vendita le case popolari, non ha più fatto accordi con i privati per reperire alloggi a prezzi calmierati, non ha comprato nemmeno una nuova casa per le famiglie.
Da parte nostra, invece, anche se fuori dal governo della città, l’impegno per il diritto alla casa, coerente con il dettato costituzionale (art. 3: “E’ compito della repubblica rimuovere le cause che impediscono ai cittadini ecc…”), è continuato in questi anni nelle aule del consiglio comunale e con il nostro sportello sociale, dove un numero crescente di famiglie di italiani e di immigrati cerca una risposta, un sostegno, una difesa di fronte all’emergenza che cresce e al diffondersi della povertà. Ciò non è un dato statistico, ma una condizione materiale insopportabile. Centinaia sono le famiglie che si sono rivolte al nostro sportello di consulenza legale gratuita, che si occupa dei problemi di casa, lavoro, e diritti.
Decine sono gli sfratti in cui siamo intervenuti e per i quali abbiamo trovato una soluzione concordata con il Comune, oppure direttamente con gli stessi proprietari. Abbiamo difeso il diritto all’abitare per tante famiglie oggetto di sfratto per morosità incolpevole e/o di pignoramento della propria abitazione perché non più in grado di pagare i mutui che avevano contratto con le banche. Un fenomeno in crescita esponenziale dentro la crisi che produce il dilagare della disoccupazione, della cassa integrazione e della mobilità.
Restituire il patrimonio di case popolari a chi ne ha diritto e bisogno.
Il nostro primo obiettivo è chiaro, vogliamo bloccare la politica di messa all’asta delle case di proprietà comunale, costruite con i soldi prelevati nelle buste paga dei lavoratori e metterle a disposizione delle famiglie nelle graduatorie comunali o in emergenza abitativa.
Anzi, vogliamo incrementare questo patrimonio, attraverso attività di recupero dell’esistente, acquistando nuovi alloggi nelle tantissime nuove lottizzazioni invendute in città, attuando, come abbiamo già fatto in passato, controlli ferrei su chi abita nelle case popolari per verificare la persistenza dei requisiti per potervi rimanere.
Il nostro programma amministrativo sarà caratterizzato proprio dal trasferimento delle risorse su questa grande opera da fare per la città: dare la possibilità a chi è in emergenza abitativa, di avere una casa a canone sociale e attuare la politica degli “sfratti zero”.
Abbassare gli affitti si può; nuove politiche fiscali sull’Imu e osservatorio permanente sull’emergenza abitativa.
Già negli anni 2004/2009, la necessità di rispondere all’emergenza abitativa è stata una priorità perseguita con successo: l’allora assessore alla casa stipulò una serie di accordi con i piccoli proprietari immobiliari, affinché questi abbassassero gli affitti stipulando contratti a canone concordato, in cambio di sconti fiscali sull’allora I.C.I.
Si passò in poco tempo da poche decine di contratti di affitto registrati a canone concertato a circa duemila: il Comune agì la leva fiscale, i piccoli proprietari abbassarono gli affitti, le famiglie poterono avere contratti a prezzi più accessibili, regolarmente registrati e scaricabili dall’Irpef.
Abbiamo riproposto questo schema anche nella consigliatura 2009/2014, senza successo, poiché la coalizione a guida PD ha preferito incassare il massimo profitto possibile sulle seconde case, senza tenere conto che, anche una adeguata modulazione della fiscalità comunale verso i piccoli proprietari immobiliari, può aiutare nella gestione dell’emergenza abitativa in città, come è stato negli anni passati: per questo, la nostra proposta è abbassare l’imu a chi affitta a canone concordato, e aumentarla a che tiene gli appartamenti vuoti.
Vogliamo attuare politiche di contenimento dei prezzi di mercato, insostenibili per i salari e gli stipendi attuali.
Reperire nuovi alloggi si può, si deve.
Nella nostra provincia si stima che vi siano circa 10.000 appartamenti sfitti. La maggior parte di questi si trova in città.
Molte di questi appartamenti appartengono ad enti pubblici o ad assicurazioni e banche. Abbiamo interi quartieri con complessi immobiliari vuoti e lasciati al degrado.
Proponiamo che il comune affitti direttamente gli alloggi sfitti delle banche e delle assicurazioni, nella nostra città sono svariate centinaia, per darli in concessione alle famiglie in stato di bisogno. Anche in questo caso, agiremo la leva fiscale in cambio di un abbassamento dei canoni di affitto per convincere queste grandi proprietà a concederli a canone sociale. Tuttavia, se i proprietari di grandi patrimoni abitativi sfitti (enti pubblici, banche, assicurazioni o privati) non avessero intenzione di concedere “spontaneamente” (beneficiando delle agevolazioni fiscali concesse) le loro abitazioni tenute vuote senza motivo, il Sindaco deve ricorrere alla requisizione in uso (prevista anche dall’art. 835 del Codice Civile) per fare fronte all’emergenza abitativa esistente e per rispettare la “funzione sociale” che l’art. 42 della Costituzione attribuisce alla proprietà privata.
Contributo per l’affitto.
Proponiamo che il contributo per l’affitto diventi uno strumento di prevenzione contro gli sfratti per morosità incolpevole.
In questi anni, questo strumento è stato utilizzato in maniera inefficace per le famiglie che lo ricevevano e per gli stessi proprietari creditori. Pensiamo che sia meno dispendioso per l’amministrazione prevedere un contributo mensile per le famiglie monoreddito che le aiuti proprio nel pagamento dei canoni o delle spese condominiali. Questa nuova impostazione si potrà realizzare con una presa in carico dei nuclei familiari da parte dei servizi sociali del Comune, in collaborazione con l’assessorato alla casa, e con la collaborazione degli stessi proprietari che saranno più tutelati.
Le politiche sociali strumento di egualianza
La crisi che attanaglia il paese è figlia delle politiche di tagli crescenti allo stato sociale, ai salari, agli stipendi e alle pensioni, ed ha picchiato pesantemente sui settori meno ricchi della società.
Disoccupazione, precarietà e povertà si diffondono e ogni rilevazione statistica ne mostra l’assoluta gravità ed insostenibilità per la maggioranza dei cittadini. Solo la parte più benestante della popolazione vede aumentare i suoi redditi. Il 10 % della parte più ricca del paese detiene il 50% della ricchezza disponibile
Anche i continui tagli ai bilanci dei comuni per le politiche sociali, non aiutano nello stanziamento di risorse adeguate alle necessità dei tempi.
Sarà necessario reperire nuove risorse dal territorio: incrementare la lotta all’evasione fiscale e stanziare comunque più risorse per combattere efficacemente le povertà crescenti.
Il sostegno a chi è colpito dalla crisi.
Il comune può e deve mettere al centro della sua attenzione le fasce più esposte alla crisi, i settori della società che ne sono stati più pesantemente colpiti. Se necessario anche rompendo il patto di stabilità interno, osare quello che questo governo non vuole e non riesce a fare. Disobbedire alle imposizioni di una politica suicida. L’unica grande opera oggi indispensabile è liberarci dalla povertà. Oggi è più che mai necessario, e lo sarà ancor più nel prossimo futuro, intervenire nel settore dei servizi sociali, nel sostegno delle famiglie che non sono più in grado di pagare il mutuo o l’affitto della casa, le bollette del Gas, nel creare occasioni di lavoro con l’avvio di opere necessarie alla città che diano opportunità di lavoro ai disoccupati in misura molto più ampia di quanto non sia stato fatto fino ad ora.
Nel nostro municipio noi vogliamo parlare di cittadinanze, di riconoscimento e di valorizzazione delle differenze. Il modo non può che essere una profonda riforma dello stile del governare: il welfare municipale non può essere solo intervento assistenziale efficace, ma pratica costante, ad ogni livello ed in ogni settore, di inclusione, ascolto e promozione.
Quando si parla di abolire le distanze, infatti, si fa riferimento a un processo di modifica culturale dell’amministrare, che cambia struttura e finalità degli uffici e li conforma alla pratica dell’ascolto e della partecipazione. Noi vogliamo che tutti i cittadini e le cittadine siano portatori e portatrici di diritti e risorse: vogliamo un sistema di partecipazione stabile che parta dal protagonismo delle periferie.
Un welfare strutturato in questo modo deve basarsi su un attento ascolto della comunità e sulla rilevazione sistematica e profonda dei suoi mutamenti e delle sue aspirazioni. Un Comune che promuove quell’arte di ascoltare è un Comune che, in modo dinamico e attento, conosce i mutamenti profondi della comunità, rilevandone costantemente i bisogni. Vogliamo un’amministrazione nuova che, in collaborazione con gli altri enti pubblici e tutti i soggetti della comunità, impianti un sistema di ascolto attivo e di osservatorio dinamico sulla disuguaglianza. Vogliamo un Comune che produca ricerca, che abbia gli strumenti per rilevare i fenomeni sociali del proprio territorio, che faccia degli abitanti della sua comunità un costante oggetto di studio.
Se il municipio opera legittimando chiunque viva sul proprio territorio, un Comune che non ha paura degli esclusi e non ha bisogno di difendersi, è un Comune che anzi insegna che l’insicurezza urbana si sconfigge con l’apertura, la trasparenza, la relazione.
Salute e povertà sono inversamente proporzionali. A Padova, negli ultimi anni, è aumentata la stratificazione sociale e la crisi ha prodotto un inasprimento delle disuguaglianze di reddito, di lavoro e di istruzione. Questa situazione produce nuovi fenomeni di disagio sociale e nuovi processi di esclusione.
Ma in una crisi così pervasiva e di lunga durata, dove interi gruppi sociali si allontanano sempre più dalla piena cittadinanza garantita, non si può rispondere a processi profondi con limitate risposte assistenziali, e non è affatto efficace allontanare e marginalizzare i gruppi sociali che hanno meno opportunità di crescita.
L’intervento delle politiche pubbliche deve essere di chiara inversione di tendenza, e di lavoro strutturato di rimozione delle disuguaglianze. I suoi presupposti non possono che essere quelli della nostra Costituzione all’articolo 3: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Le cittadinanze.
Vogliamo costruire una città che impara pratiche e importa saperi dalle storie dei suoi abitanti: Il nostro sguardo è laico, perché solo la laicità permette l’inclusione.
E vogliamo che la nostra città sia progettata e ripensata con l’aiuto dei movimenti delle donne e con lo sguardo femminile attento sulle politiche di bilancio, sull’economia, sul piano del traffico: rigettiamo l’idea che alle donne sia richiesto di parlare solo di pari opportunità.
Vogliamo garantire la libertà di movimento per le persone disabili e fare in modo che il superamento del conflitto tra l’uomo e l’ambiente urbano sia un’assunzione collettiva di responsabilità, dove il Comune diviene garante della partecipazione sociale e dell’autonomia di tutte e tutti, senza distinzione di genere o di provenienza geografica.
Vogliamo anche conservare lo sguardo lungo e fare un’opera efficace di investimento sociale; vogliamo che i giovani trovino spazio e voce per uscire dalla crisi, che ritrovino l’orgoglio di partecipare e di essere protagonisti del proprio percorso di vita. È di questo che il Comune deve farsi carico: attraverso politiche attive di percorsi di autonomia, deve riportare i giovani al centro della sfera pubblica e valorizzarne propensioni e ricchezze.
Le politiche per l’integrazione.
In questa città è noto a tutti quale sia stato il nostro impegno a favore di politiche di inclusione per i lavoratori migranti e per le loro famiglie.
Siamo stati i promotori della nascita dell’assessorato all’accoglienza e all’immigrazione, riconoscendo la centralità sociale delle comunità migranti presenti nel nostro territorio.
L’abbiamo fatto per coerenza con i principi di libertà e di uguaglianza che hanno sempre contraddistinto la nostra cultura politica. L’abbiamo fatto spesso controcorrente, conducendo dure battaglie contro i contenuti discriminatori della Bossi-Fini e delle leggi che il centrodestra, promuovendo e speculando elettoralmente sulla xenofobia, ha promosso negli anni in cui ha governato il paese. Leggi che abbiamo tentato di modificare quando abbiamo sostenuto governi di centrosinistra, che mai sono state modificate, né lo saranno nel quadro politico dei governi di larghe intese.
Ci siamo battuti per il diritto di esercitare l’elettorato attivo e passivo almeno nelle elezioni amministrative, abbiamo proposto una mozione, dopo il ripetersi di eventi tragici nel mare di Sicilia, ben prima degli ultimi episodi, chiedendo la fine della pratica dei respingimenti e degli omicidi di massa in mare.
La nostra mozione, presentata in consiglio comunale nel 2009, fu bocciata dal centrodestra e dal PD.
Dopo migliaia di morti nel Canale di Sicilia e dopo i recenti naufragi che hanno causato centinaia di vittime, uomini, donne e bambini, provenienti da paesi in guerra come la Somalia, L’Eritrea, la Siria, tutti in diritto di chiedere legittimamente lo status di rifugiati o richiedenti asilo secondo le norme internazionali, la necessità di porre mano alla legislazione assassina imposta dal centrodestra, Bossi–Fini e pacchetto sicurezza, è diventata un tema quasi trasversale nel dibattito pubblico.
Il nostro impegno sarà quello di continuare percorsi di riconoscimento di diritti di cittadinanza, contro l’esclusione sociale, la ghettizzazione e per rendere questi nuovi cittadini fruitori dei diritti fondamentali previsti dalla nostra Costituzione.
In una fase di crisi economica e sociale come quella che attraversiamo, per una città rispettosa dei bisogni di tutti i suoi cittadini è fondamentale pensare a politiche che possano sostenere le famiglie, senza distinzioni, rifuggendo le proposte populiste ed escludenti, discriminatorie e portatrici di insicurezza sociale e odio verso i più deboli.
Importante sarà coinvolgere in percorsi di partecipazione alla vita attiva della città, le numerose comunità immigrate ormai integrate e che nella nostra città lavorano, pagano le tasse e contribuiscono da decenni alla crescita sociale e culturale di Padova.
Vogliamo continuare a sostenere percorsi di accoglienza e di inclusione soprattutto per i ragazzi di seconda generazione, che si sentono padovani, conoscono l’esperienza di emigrazione vissuta dai propri genitori e desiderano, al pari dei giovani autoctoni, un avvenire migliore di quello dei propri genitori.
Rafforzeremo i servizi diffusi sul territorio, in collaborazione con le altre istituzioni della città e con le associazioni del privato sociale. In particolare: corsi d’italiano, servizi di mediazione sociale comunali, mediatori culturali, centro d’informazione servizi, sportello d’informazione scolastica, sportello d’informazione sui ricongiungimenti, sportello per i richiedenti asilo come rifugiati.
Solo una città realmente inclusiva ed includente può rendere i suoi cittadini davvero liberi e eguali.
Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a Padova.
Il Contesto culturale di riferimento di un’amministrazione in materia di politiche per l’infanzia e l’adolescenza deve essere la Convenzione Internazionale dei Diritti Dell’infanzia e dell’Adolescenza. Essa è il primo ed unico strumento giuridico internazionale che ha le seguenti caratteristiche:
- è giuridicamente vincolante;
- incorpora tutti i diritti umani di prima e seconda generazione: civili, politici, economici, sociali e culturali del bambino attribuendo eguale importanza a ciascuno di essi;
- compie una vera e propria rivoluzione culturale perché riconosce il soggetto in età evolutiva non solo come oggetto di tutela e assistenza ma anche come soggetto di diritto e quindi titolare di diritti in prima persona.
Con la Convenzione (approvata il 20 novembre 1989 dall’Assemblea Generale dell’ONU) per la prima volta nella storia i diritti dei bambini entrano a pieno titolo nel mondo giuridico internazionale. Intendiamo porre al centro della nostra futura azione i suoi quattro principi fondamentali:
- La non discriminazione (art. 2): tutti i diritti sanciti nella convenzione si applicano a tutti i minori senza alcuna distinzione di sorta.
- Il superiore interesse del minore (art.3): in tutte le decisioni relative ai minori il superiore interesse del minore deve avere una considerazione preminente.
- Il diritto alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo (art.6): va oltre il diritto alla vita garantendo anche la sopravvivenza e lo sviluppo.
- La partecipazione e il rispetto per dell’opinione del minore (art. 12) al fine di determinare in che cosa consista il superiore interesse del minore questi ha il diritto di essere ascoltato e che la sua opinione sia presa in debita considerazione.
Queste saranno le fondamenta su cui svilupperemo le politiche locali a favore dell’infanzia e dell’adolescenza. Ci impegniamo a garantire alle attività legate ai diritti infanzia e adolescenza una voce nel bilancio, funzionale ad assicurare risorse dedicate in maniera continuativa e costante.
Nelle città, spesso i cittadini più piccoli soffrono maggiormente degli svantaggi del degrado della vita urbana, essendo privati della possibilità di incontrarsi, socializzare, spostarsi liberamente. Sempre più minacciati da traffico, inquinamento, cementificazione, commercializzazione del territorio di vita; i bambini escono sempre meno da soli di casa, vivendo segregati dagli adulti in luoghi specializzati costruiti con la funzione primaria di proteggerli, sempre e comunque ‘gestiti’ da adulti. Pochissimo tempo dedicato allo stare da soli e autonomamente. Essi sono privati dell’opportunità di movimento ed incontrarsi in luoghi non marcati da adulti. Inoltre il muoversi/l’orientarsi/l’attraversare spazi diversi sono tutte attività che stimolano la crescita ovvero la costruzione personale ed originaria di sé.
Rispetto ai nidi dati in convenzione, deve essere delineato un profilo di appalto etico, che non sia focalizzato sul ribasso dei costi di gestione, ma includa vincoli sociali per i dipendenti, garanzia di continuità lavorativa e progetti educativi incentrati sull’inclusività e la laicità.
Valorizzare i nidi pubblici comunali e la loro lunga e radicata esperienza educativa, facendo dei servizi comunali un riferimento per tutta la rete dei servizi educativi. In particolare, i nidi devono essere riferimento di tipo organizzativo, metodologico, progettuale per i nidi convenzionati e per quelli privati accreditati.
Vogliamo adeguare le rette alla effettiva capacità contributiva delle famiglie, prevedendo ulteriori fasce di contribuzione per i redditi alti allo scopo di ridimensionare le rette delle fasce inferiori.
Deve essere posto l’accento sulla reale partecipazione dei genitori all’interno dei servizi educativi sia pubblici che privati e ridare senso e valore al comitato di gestione quale organo informativo e propulsivo nella vita del servizio.
Bisogna attuare un programma contro la dispersione scolastica di concerto con la conferenza dei sindaci dell’educativo, che preveda l’accompagnamento attivo, il sostegno educativo e la mediazione culturale per evitare il drop out dei ragazzi provenienti da famiglie in disagio sociale.
Le politiche giovanili.
Il Comune ricopre un ruolo fondamentale di coordinamento per la costruzione di politiche integrate capaci di rispondere ai bisogni dei giovani ponendo particolare attenzione all’estrema fragilità della loro condizione dettata dalla crisi economica. Per poter fare ciò è necessario che sappia lavorare integrando le competenze per ri-leggere e ri-orientare l’azione, attuando un metodo amministrativo più elastico, capace di andare incontro ai giovani e con loro attivare percorsi partecipati al fine di renderli realmente rispondenti ai bisogni espressi.
Padova ha sul proprio territorio le potenzialità per costruire politiche integrate, grazie all’esistenza di un Informagiovani, e di relazioni decennali con realtà del Terzo Settore che si occupano di aggregazione giovanile.
Nonostante questo reticolo di opportunità, forti sono le richieste che arrivano dai giovani che vivono la nostra città, anche alla luce della dimensione universitaria che la caratterizza. Sono richieste di maggior coinvolgimento nelle scelte della città, maggiori opportunità di espressioni culturale e artistica, sostegno nella ricerca di un’autonomia che arriva in età sempre più avanzate.
Si prospetta uno scenario desolante, nel quale i giovani, considerati motore della società e gambe di questo paese, sono invece fra i soggetti più colpiti dalla crisi e con meno strumenti per poterla contrastare.
In questo contesto sicuramente il bisogno fondamentale che l’amministrazione si trova a dover fronteggiare è la crescente richiesta di lavoro che arriva dai giovani. Se analizziamo i dati sul mercato del lavoro, emerge come la componente giovanile delle nostre città sia fragile, imbrigliata in una crisi che non ha provocato ma della quale subisce le ricadute più pesanti: sia in termini di elevata porzione di disoccupati e inattivi, che in termini di profilo degli occupati: contratti a termine, part-time involontario, bassi salari e mansioni al di sotto del proprio titolo di studio.
Particolare attenzione va rivolta ai giovani esclusi del mercato del lavoro e in particolare coloro che non studiano, non lavorano e non frequentano alcun corso di formazione,
Altro elemento caratterizzante il territorio padovano è la costante richiesta di luoghi aggregativi svincolati dalle dinamiche di mercato e facilmente fruibili dai giovani. Tali luoghi vengono ritenuti indispensabili per combattere e arginare le enormi carenze date dalla situazione di crisi appena citata. Su questo tema sono molti i giovani che da anni si attivano per recuperare e restituire alla cittadinanza spazi di condivisione e partecipazione, i quali hanno cercato, senza successo, un’interlocuzione con il Comune. La difficoltà di costruire percorsi di emancipazione da parte dei giovani, che i dati mettono bene in evidenza, richiede l’individuazione di luoghi capaci di accogliere tali problematicità e di accompagnare i soggetti in percorsi di ri-orientamento e ri-motivazione, che potrebbero trovare una loro legittima collocazione in spazi autogestiti dai giovani stessi. Questi luoghi acquisirebbero un valore aggiunto, diventando ingranaggi di un più ampio disegno di sostegno alle giovani generazioni, salvaguardandone però l’autonomia e lo spirito comunitario.
La città e i saperi delle donne.
Le donne sono particolarmente sensibili all’arretramento materiale e culturale determinato dalla crisi perché sono investite direttamente dai processi in atto. Come lavoratrici subiscono più degli uomini l’espulsione dal lavoro garantito e la precarizzazione del lavoro. Come protagoniste della cura familiare sono costrette a fornire con il proprio lavoro gratuito tutti i servizi di assistenza che prima erano pubblici e che con i tagli e la privatizzazione non possono più permettersi: soprattutto la cura dei malati, dei disabili, degli anziani e dei bambini. Le donne subiscono anche gli effetti di una società che esalta la forza bruta, l’arbitrio e la capacità di danneggiare gli altri, caratteristiche di una cultura che disgrega le relazioni sociali e diffonde modelli di relazione fra uomini e donne di tipo gerarchico, cementati da una sessualità ridotta a prestazione e lontana dall’essere, come dovrebbe, una forma di comunicazione e di scambio reciproco. In questa in-cultura amplificata dai media cresce la violenza sulle donne, fenomeno che in Italia è in costante aumento.
È nostra convinzione che il primo passo verso il cambiamento risieda nella certezza che esso possa avvenire. Basta con il sentimento di impotenza! Il secondo passo è promuovere il ritorno di una politica che abbia al centro i bisogni delle persone e di cui le persone sono attrici. Una nuova politica nazionale deve avere la forza di posporre i bisogni dei poteri economici a quelli dei cittadini, una nuova politica locale deve fare altrettanto, sollecitando la partecipazione per dare voce ai bisogni che nascono nella vita.
Diritti di cittadinanza.
Con il termine “Diritti di cittadinanza” intendiamo sia diritti di carattere sociale (la casa, il lavoro, la salute, l’istruzione), che di carattere civile (il diritto per ogni cittadina e cittadino alla autodeterminazione per le questioni che riguardano il proprio corpo e le proprie relazioni affettive e sessuali, la libera professione della propria religione, e a seguire la propria opinione filosofica, il diritto di voto, di famiglia).
Affinché i cittadini possano esercitare questi diritti, il Comune deve approntare dei servizi che diano sostanza pratica a leggi e regolamenti nazionali e regionali o che, in qualche caso di vuoto legislativo, ne anticipino l’emanazione cercando di condizionarne i contenuti.
Indipendentemente dalla tipologia di gestione dei servizi, è del tutto evidente che questi devono essere erogati in accordo a criteri di qualità. Fra questi ci interessa mettere in evidenza il fatto che i servizi debbano rispettare il supremo principio della laicità dello Stato in tutte le sue articolazioni, e i principi costituzionali italiani ed europei di uguaglianza e non discriminazione.
Siamo convinti che sia compito anche dell’amministrazione comunale quello di tutelare e sostenere le unioni civili, al fine di superare situazioni di discriminazione e favorirne l’integrazione e lo sviluppo nel contesto sociale, culturale ed economico del territorio, ci proponiamo di valorizzare e diffondere la cultura della laicità e per lanciare un pubblico confronto sulla pluralità dei nuclei d’affetto.
Disabilità e cittadinanza.
Il diritto di cittadinanza è in primo luogo il diritto a esistere, vivere e muoversi in maniera completa e indipendente. Come è possibile esercitare i propri diritti di cittadino e cittadina se non si è messi in condizione di vivere e muoversi autonomamente nella propria città, in tutta la città? Padova deve essere a misura di tutti i cittadini e le cittadine: le persone abili e quelle disabili, le madri con le bimbe in passeggino, gli infortunati che si muovono appoggiandosi alle stampelle; gli anziani con difficoltà di movimento, chi si muove in sedia a rotelle. È ovvio dire che tutti e tutte debbono avere la possibilità di muoversi autonomamente, meno ovvio è garantire questo diritto.
La Legge n° 13 del 1989 sulle barriere architettoniche è una tra le leggi meno applicate in Italia: ha l’alta finalità di rendere la città – tutta la città – accessibile a tutti: parti comuni dei condomini privati, edifici aperti al pubblico e uffici pubblici, luoghi di lavoro, strade e marciapiedi. Gli edifici debbono essere resi accessibili in tutte le loro parti. Degli edifici pubblici e aperti al pubblico e dei luoghi di lavoro non è sufficiente rendere accessibile solamente la parte dedicata all’utenza o ai clienti, ma si deve prevedere l’accesso anche ai lavoratori disabili. È una importante questione culturale, che investe le competenze dei tecnici che debbono essere in grado di progettare per tutti, e soprattutto di cultura politica, che deve guardare per prima cosa ai diritti dei più fragili. È certamente anche una questione economica, ma la stessa legge indica ai Comuni dove trovare le risorse: devono essere utilizzati gli oneri di urbanizzazione.
Nel 1999, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ridefinito il concetto chi definisce le conseguenze sociali della disabilità che, fino ad allora erano definite handicap. Si parla di “diversa partecipazione sociale”, cioè delle restrizioni di natura, durata e qualità che una persona subisce in tutte le aree o gli aspetti della propria vita a causa dell’interazione fra le proprie menomazioni, le attività svolte e i fattori contestuali. In sostanza si è disabili ma è il contesto che rende handicappati perché ad esempio mancano le infrastrutture adatte: ascensori, scivoli, sensori acustici o visivi. Una menomazione è un fatto fisico, indiscutibile e spesso ineliminabile; l’handicap è l’incontro, spesso lo scontro, tra l’individuo e il contesto e come tale è uno svantaggio riducibile.
Vogliamo lavorare per sviluppare l’obiettivo della piena autonomia anche all’interno del contesto di vita della persona disabile, promuovendo la ricerca sulla domotica e le tecnologie di ausilio anche presso il mondo produttivo e le istituzioni universitarie, e sensibilizzando i privati sugli adeguamenti strutturali da apportare agli edifici.
La città e lo sport per tutte e tutti
La pratica dell’attività sportiva deve essere riconosciuta come diritto di cittadinanza, da garantire a tutte le cittadine e a tutti i cittadini. Attraverso la pratica sportiva si facilitano l’inclusione sociale, il superamento del disagio e la promozione della salute, e si prevengono danni personali e sociali. Per queste ragioni lo sport deve essere parte integrante dello stato sociale promosso dal Comune, il quale deve sostenere e diffondere la pratica sportiva.
Per prima cosa è necessaria la realizzazione di nuove strutture sportive, che sono oggi in numero insufficiente a soddisfare la grande domanda di attività sportiva per tutte le fasce di età. Deviare quote di bilancio da opere edilizie faraoniche e reindirizzarle sulla realizzazione e manutenzione di strutture sportive presenti in ogni quartiere deve diventare un imperativo.
Per costruire meno possibile e risparmiare risorse, andrà valutata la trasformazione di immobili inutilizzati di proprietà pubblica e privata, se idonei allo scopo, in palestre popolari, attraverso il coinvolgimento degli sportivi stessi.
Troppo spesso, oggi, impianti sportivi di proprietà pubblica sono dati in gestione a grosse società sportive che finiscono poi per esercitare una gestione privatistica di queste strutture, lasciando alle piccole società sportive le briciole. La gestione e la manutenzione delle strutture sportive comunali deve essere interamente riportata in mano al Comune, che le deve gestire in modo trasparente e deve assicurare un equo trattamento a tutte le società sportive presenti sul territorio. Per garantire maggiore disponibilità e accesso agli spazi, è necessaria l’ottimizzazione dell’uso delle strutture sportive esistenti, ad esempio mediante l’incremento dell’utilizzo delle palestre scolastiche in orario pomeridiano, e mediante l’imposizione di tetti tariffari per l’accesso a tali strutture in base al reddito.
Spazi sociali.
La città di Padova presenta un ricco tessuto di associazionismo e attività sociali, culturali e aggregative portate avanti da cittadini e gruppi. La notevole presenza di studenti universitari contribuisce in modo consistente a questa effervescenza, non di rado stimolata da un impegno civile e politico. Si tratta di una realtà cittadina che il Comune deve sostenere e agevolare anche attraverso la messa a disposizione di spazi. Allo stesso modo, riteniamo prioritario il riconoscimento della funzione svolta dagli spazi sociali autogestiti e aperti alla cittadinanza, che caratterizzano significativamente la nostra città, aprendo prospettive nelle più diverse direzioni. Questi beni comuni, la loro tutela e promozione si trova al centro di questo programma. La Padova che immaginiamo è sorretta da una cittadinanza attiva che diffonde o ricostruisce in tutte le parti della città un tessuto connettivo fatto di spazi sociali, un presidio contro la crisi e la solitudine del nostro tempo.
Aumento degli spazi pubblici e privati
- Daremo pieno sostegno a progetti di auto-recupero di immobili abbandonati di proprietà pubblica o privata da parte di soggetti impegnati in attività sociali no-profit, anche mediante un modello unico di bando, elaborato dal mondo associativo attraverso un percorso partecipato.
- Porteremo avanti una strategia generale per favorire l’uso sociale degli immobili privati abbandonati, e in particolare per rendere disponibili a cittadini e associazioni le aree di proprietà privata inutilizzate (capannoni, fabbriche dismesse, ecc.), attraverso un modello unico di contratto pluriennale di comodato d’uso gratuito, garantito dal Comune e reso attrattivo anche per la proprietà mediante agevolazioni di natura fiscale sull’area concessa; ci impegneremo affinché il Consiglio comunale voti solo varianti di interesse pubblico sulle aree di proprietà privata inutilizzate.
Pieno accesso agli spazi sociali e sportivi
- È nostro impegno garantire l’accessibilità per tutti a tutti gli spazi sociali della città di Padova: ogni spazio sociale e sportivo in città, sia di proprietà pubblica, sia privata, dovrà infatti essere accessibile a cittadini portatori di handicap, e ogni persona dovrà avere pieno diritto di frequentare gli spazi sociali, quale che sia la sua condizione di cittadinanza;
- Promuoveremo l’aumento degli spazi sportivi disponibili in città, mediante lo sviluppo di aree sportive integrate in grado di ospitare sia attività sociali, sia sportive, accessibili a titolo gratuito, o a costi ridotti, ai soggetti che ne facciano richiesta. Porteremo avanti una proposta di affidamento in auto-gestione di aree abbandonate.
Le politiche culturali.
Il ruolo dell’Amministrazione comunale per quel che riguarda le politiche culturali è assolutamente centrale e strategico, sia per lo sviluppo di una cittadinanza attiva che per la rigenerazione urbana: in una parola, affinché Padova possa essere un luogo desiderabile dove vivere, lavorare, formarsi e conoscere, un luogo culturalmente produttivo e attrattivo.
La vera sfida delle politiche culturali nella Padova di oggi è sviluppare un modello di cittadinanza attiva e creativa, che sia ‘produttrice’ essa stessa di identità e nuove proposte culturali. Il modello che abbiamo in mente concepisce la cultura come motore cooperativo per attivare e valorizzare le energie diffuse nel territorio: l’obiettivo strategico è quello di stimolare la comunità a un processo di responsabilità e cura comune delle risorse artistico-culturali.
Troppo spesso invece negli ultimi anni a Padova è stata abbracciata la politica dei grandi eventi concepiti solo come grandi scatole per contenere visitatori-consumatori: abbiamo assistito al progressivo affidamento delle proposte culturali espositive cittadine ai soggetti e alle fondazioni private, interessati a una logica di cassetta che ben poco ha a che vedere con l’attivazione delle risorse culturali urbane.
Nella nostra idea di politiche culturali, l’Amministrazione comunale deve essere al centro di una rete delle istituzioni dove costruire una progettazione condivisa e partecipata: questa rete diffusa sarà il canale attraverso cui far interagire strategie, politiche e progetti differenti, presenti e attivi in città. Essere al centro non vuol dire però tutto controllare e tutto dirigere: la cultura non deve essere vista come strumento di potere politico. Non è più accettabile che le risorse siano distribuite come un’elemosina per chi mantiene alto il livello culturale della città offrendo servizi alla cittadinanza. È necessario cambiare radicalmente il paradigma.
Una rete diffusa di creatività urbana per rigenerare la città.
Le pratiche per una nuova gestione del patrimonio artistico e culturale materiale e immateriale devono passare per una valorizzazione dell’armatura culturale esistente in città e delle risorse della Padova odierna. Padova possiede spazi meravigliosi, che rimangono però inutilizzati o sottoutilizzati: sono necessari processi di rigenerazione urbana, fondati sul riconoscimento del ruolo della stessa creatività urbana come fattore primario dell’evoluzione delle comunità e dello sviluppo economico, pensiamo ad esempio al cinema Altino ormai abbandonato da svariati anni. La città deve riuscire a generare valore a partire dai propri capitali territoriali, culturali, sociali e relazionali, dalla promozione di una consapevolezza diffusa del patrimonio. Cominciando dal recupero degli spazi abbandonati o non valorizzati.
Le politiche culturali dell’Amministrazione comunale che vorremmo realizzare fanno propri i principi chiave presenti nel Manifesto di Napoli, elaborato in occasione del Forum dei Beni Comuni nel 2012: «Intervenire per riformare le istituzioni cultura locali, in termini coerenti con l’idea della cultura come bene comune, da governarsi sulla base di forme giuridiche partecipate, sull’esempio del Teatro Valle di Roma; impegno a fronteggiare la progressiva privatizzazione delle Università pubbliche ed in generale di tutte le forme del sapere e della conoscenza».
Le cittadine e i cittadini hanno il diritto di sapere come funziona la macchina comunale e di conoscere in maniera immediata e semplice come viene stanziato il bilancio della cultura. Le risorse destinate alle politiche culturali devono rispondere alle linee programmatiche esposte e devono inserirsi in questa idea di valorizzazione diffusa della cultura.
Una più adeguata promozione del patrimonio artistico e culturale, materiale e immateriale, presente in città passa anche attraverso l’elaborazione di servizi innovativi che “aprano” nuovi spazi di fruizione per la cittadinanza.
Salute – Sanità
“La Salute si sviluppa nei contesti di vita quotidiana, nei quartieri e nelle comunità in cui le persone vivono, lavorano, amano, fanno acquisti e si divertono. La Salute è uno dei più efficaci e potenti indicatori dello sviluppo sostenibile e di successo di ogni città e contribuisce a rendere le città inclusive, sicure e resilienti per l’intera popolazione”. (OMS, Shangai 2006)
La salute non è solo assenza di malattia ma è una dimensione sistemica di benessere psico-fisico, che si ottiene e si mantiene soprattutto con azioni di prevenzione nell’ambiente e miglioramento degli stili di vita individuali. “One Health, one Earth”: una Sola Salute per una Sola Terra è l’obiettivo a cui dobbiamo puntare anche per la città di Padova.
Padova è al 15° posto (su 960 città europee) per l’inquinamento atmosferico,[1] in particolare per le polveri sottili (PM10 e PM2,5) che oltre a favorire l’insorgere di tumori, malattie cardiovascolari e polmonari sono anche con-causa dell’aumento di mortalità legato alla pandemia che ha interessato tutta la Pianura Padana. Sono quindi necessarie politiche urgenti di ampia portata per rendere Padova più salubre e vivibile. Queste le nostre priorità:
Inceneritore.
L’inceneritore è un impianto fortemente inquinante. Nonostante il nome fuorviante (termovalorizzatore) che evoca l’idea positiva del recupero di energia, in realtà, viene considerato al pari della discarica perché la combustione dei rifiuti non appartiene all’economia circolare per la quale si deve recuperare materia non energia.
Il processo di incenerimento inquina l’aria, le acque, il terreno riversando in atmosfera tonnellate/anno di Ossidi di Azoto e di polveri fini ed ultrafini e altre sostanze pericolose PFAS e cancerogeni certi come Diossine ecc e aggrava il riscaldamento globale.
Per questo il nostro impegno sarà per:
- Dire No alla 4^ Linea, perché aumenterà il volume dei rifiuti da bruciare e anche se più moderna emetterà più particelle ultrafini <1 micron che sono quelle maggiormente incriminate per l’insorgere di infarti e ictus e Parkinson e Alzheimer.
- Chiudere le linee 1 e 2 che già avrebbero dovuto essere dismesse nel 2010 mantenendo la 3^ finché necessaria e riducendo progressivamente il rifiuto da incenerire.
- Togliere la concessione ad Acegas Aps Amga, in quanto non ha raggiunto l’obiettivo di raccolta differenziata al 76%, prevista nel piano regionale e perché chi gestisce la raccolta non può gestire anche l’incenerimento e le discariche.
- Organizzare la raccolta dei rifiuti con gestione diretta (in House) e con tariffa senza profitto, a vantaggio degli utenti.
SAL condivide e sostiene le ragioni dei Comitati dei Cittadini e delle Associazioni Ambientaliste che stanno ricorrendo al TAR contro un progetto dannoso sia per l’ambiente che per la salute dei cittadini.
Prandina.
L’area ex Prandina deve essere un Parco.
E’ necessario rompere il paradigma che abbina i parcheggi alla prosperità del commercio. E’ necessario riportare al centro della politica locale l’interesse dei molti, superando gli interessi di pochi.
Padova risulta detenere il triste primato di essere una delle città più inquinate da polveri d’Europa, il che comporta malattie e morti precoci evitabili.
Nel Centro storico di Padova, il verde pubblico è significativamente inferiore agli standard minimi: 4,9 mq/ab, contro i 7,5 mq/ab previsti dalle norme regionali.
E’ dimostrato in modo inequivocabile come la presenza degli alberi eserciti sulle persone effetti estremamente benefici, paragonabili a quelli di un farmaco e come le persone che si spostano in zone più verdi abbiano miglioramenti significativi e duraturi nel campo della salute mentale. Le emozioni negative quali aggressività, ansia e tristezza vengono ridotte, si rinforzano le funzioni cognitive e le emozioni positive, come la fiducia, l’autostima la voglia di socialità. “Dove c’è più verde, i rapporti sono migliori, c’è meno conflittualità e violenza. Le persone sono più aperte, socievoli e generose»[2]
Gli alberi:
- migliorano la qualità dell’aria (un albero adulto fornisce il fabbisogno di Ossigeno di 10 persone per un anno e può incorporare, a seconda della specie fino a 20-50 kg di CO2 ogni anno),
- riducono l’effetto “isola di calore” (fenomeno tipico delle città che comporta un surriscaldamento locale con un aumento delle temperature fino a 4-5 gradi rispetto alle campagne),
- contribuiscono a mantenere la biodiversità delle specie viventi rafforzando le difese immunitarie soprattutto dei bambini che vivono in città.
La rigenerazione dell’area ex Prandina in senso ambientale naturalistico-sociale risulta quindi un’azione irrinunciabile per rendere Padova una città amica per tutte e tutti, soprattutto per le bambine e i bambini a cui dobbiamo assicurare il futuro ma anche il presente.
Sanità Pubblica.
Per preservare la Salute, oltre alle politiche di prevenzione, è necessaria una Sanità Pubblica che funzioni come un servizio fondamentale, accessibile a chiunque ne abbia necessità.
La città di Padova, ha una popolazione che si sposta sempre di più verso la senilità (228,9 anziani ultra sessantacinquenni / 100 giovani fino a 14 anni).
Questo comporta la presenza sempre maggiore di malattie cronico-degenerative che sono di pertinenza delle Cure Primarie (Medici di Medicina Generale, Case della Comunità, Distretto) e degli Ospedali Generalisti come il Giustinianeo e il Sant’Antonio.
Agli Ospedali cittadini afferiscono circa 400.000 persone (la Padova metropolitana) e un significativo numero di pazienti che migrano da altre province e regioni non solo per le malattie che richiedono altissima specializzazione, ma anche per quelle a bassa e media complessità.
Nella città di Padova stiamo assistendo ad un progressivo spostamento della sanità verso il ricorso alla medicina privata, fenomeno che si è accentuato con la pandemia e con il passaggio dell’Ospedale Sant’Antonio all’Azienda Ospedaliera di Padova.
Questi i temi su cui ci impegneremo:
Ospedale Sant’Antonio.
E’ l’Ospedale dei Fragili:
- Il 90 % dei pazienti che arriva in Pronto Soccorso risiede a Padova.
- Il 66% dei ricoverati ha un’età superiore ai 65 anni e il 48% supera i 75 anni.
Deve essere mantenuto efficiente fino alla realizzazione dei due Poli e successivamente deve essere ripensato in una visione di complessiva riorganizzazione.
Il Nuovo Ospedale.
Ci siamo battuti perché non si realizzasse. Abbiamo sempre pensato, e ne siamo ancora di più convinti oggi dopo che la pandemia ha messo in luce la centralità della medicina di prevenzione e cura basata nel territorio, che in questa direzione si dovessero indirizzare prevalentemente gli interventi nella sanità. In ogni caso per impedire che la realizzazione della nuova mega struttura a San Lazzaro sia un grave danno per la cittadinanza riteniamo fondamentale battersi perché il Giustinianeo e l’ospedale Sant’Antonio garantiscono i servizi finora garantiti e la loro qualità
La realizzazione del Nuovo Ospedale si basa sulla programmazione del Piano Socio Sanitario Regionale del 2019 e sul Documento di Visione che l’Università ha redatto nel 2018: entrambi pre-pandemia e quindi di fatto entrambi superati dagli eventi.
E’ evidente quindi che la programmazione dei Due Poli andrà tutta ridiscussa alla luce delle esigenze di salute emerse nella pandemia e per sanare gli aspetti negativi dell’Accordo di programma del 2020.
L’accordo di Programma sottoscritto nell’aprile 2020 (al contrario del pre-accordo che prevedeva due Poli di “pari dignità dimensionale” assegnando al Giustinianeo le funzioni di “Ospedale della città” e al Polo S.Lazzaro le funzioni di ricerca, didattica e cure di alta specialità) purtroppo non mette il Giustinianeo nelle condizioni di svolgere il ruolo di “Ospedale della città”.
Il Giustinianeo infatti, secondo l’attuale programmazione, non sarà un Ospedale completo ma solo una Torre del Pronto Soccorso Centrale, neanche del tutto autonomo, visto che i pazienti più gravi dovranno essere trasportati a Padova Est con gravi rischi e molti problemi organizzativi.
Sarà dotato solo dei reparti e posti letto che hanno stretta interconnessione con il Pronto Soccorso e non avrà quelli per i ricoveri programmati per le malattie più comuni.
La disparità con il Polo di Padova Est è ben evidente dai numeri:
- Area Chirurgica 110 posti letto al Giustinianeo – 432 a Padova Est.
- Terapia Intensiva 22 Posti letto al Giustinianeo – 90 a Padova Est.
Nell’Accordo di Programma, inoltre, non sono escluse espressamente forme di finanziamento privato (project financing o affini) che è accertato essere uno strumento di indebitamento insostenibile per la comunità.
Ci batteremo per:
Un ospedale dei Padovani, il Giustinianeo, con tutti i servizi e i posti letto necessari per la comunità, strettamente interconnesso con le cure territoriali, nodo centrale della rete degli Ospedali ULSS.
L’Ospedale dell’Università a Padova Est per la didattica, la ricerca e le cure ultra specialistiche che non dovrà essere realizzato a scapito delle cure delle malattie più comuni.
Il nuovo Polo della Salute dovrà essere realizzato senza ricorrere al PF o altre forme di finanziamento privato conciliando le funzioni dei due presidi ospedalieri, che non sono doppioni, ma sono complementari.
La sanità territoriale di prossimità.
- Case della Salute. Padova deve avere un numero adeguato di Case della Salute (1 ogni 40.000 – 50.000 abitanti) che dovranno essere il luogo della risposta ai bisogni di salute attraverso la promozione della medicina d’iniziativa e la presa in carico delle persone fragili e con malattie croniche.
I fondi del PNRR dovranno essere dedicati alla loro gestione pubblica.
Secondo la “città dei 15 minuti”, la città diventa un organismo policentrico in cui gli abitanti spostandosi a piedi o in bicicletta possano raggiungere in non più di 15 minuti i luoghi dello studio, del lavoro, della cultura, del tempo libero, del commercio, della cura e dell’assistenza sanitaria. Per questo è necessario che le Case della Comunità e tutti i presidi Sanitari siano decentrati e facilmente raggiungibili soprattutto dalla popolazione anziana e fragile.
- Consultori. Padova deve essere dotata di un numero sufficiente di Consultori ( 1 ogni 20 – 25.000 abitanti) dotati di monte ore e numero di operatori adeguato in modo da potere svolgere a pieno il loro compito di produzione di salute e promozione della prevenzione.
- Salute Mentale. La salute mentale non può continuare ad essere un lusso per pochi. Le persone sofferenti devono essere curate adeguatamente e aiutate nel riacquistare la possibilità di abitare, lavorare, stabilire relazioni sociali e legami affettivi.
- Riabilitazione: Le persone che hanno necessità di un ricovero per un percorso riabilitativo attualmente devono rivolgersi alle strutture private convenzionate ( es Villa Maria oppure andare a Piove di Sacco o a Conselve. In una città che vede il 22% della sua popolazione ultra 65 enne, è una cosa inaccettabile.
Il nostro sforzo andrà nella direzione di un ritrovato protagonismo dei Sindaci e delle omunità locali nella programmazione Socio-Sanitaria.
Urbanistica
Ci sono molte città possibili, la nostra è la città delle persone portatrici di sentimenti, di bisogni, di futuro positivo. Le cose, i palazzi, ma soprattutto i percorsi, il lavoro, il divertimento, la bellezza sono una risposta a domande semplici di vita: la salute e il benessere, l’equità e la diseguaglianza, come rendere centro la periferia ovvero le identità dei luoghi e i servizi, il lavoro, la bellezza diffusa.
A ciascuno di questi temi corrispondono luoghi e modalità prioritarie della politica.
PIANO REGOLATORE
Il Piano degli Interventi.
Il nuovo Piano degli Interventi appena adottato è stato redatto in un quadro legislativo orientato al neoliberismo, sia per quanto riguarda la sfera finanziaria che quella urbanistica.
I finanziamenti ai Comuni, come quelli destinati allo stato sociale, sono ridotti in tal modo che le amministrazioni non sono in grado di investire direttamente nelle opere di interesse pubblico. Contemporaneamente la legislazione urbanistica prevede un massiccio intervento del capitale privato nella programmazione territoriale attraverso la contrattazione con l’amministrazione pubblica.
In queste condizioni il nuovo Piano degli interventi apre degli spazi per consentire all’Amministrazione comunale la realizzazione, anche se parziale, della Città Pubblica.
È necessario saper utilizzare gli strumenti del Piano e, soprattutto, l’Amministrazione deve essere fortemente determinata ad ottenere l’utilità pubblica sia nelle iniziative proposte direttamente, che in quelle avanzate dagli investitori immobiliari. È un’attività difficile e faticosa, ma è necessario che la prossima Amministrazione sia attrezzata tecnicamente e politicamente a praticarla con costanza e determinazione.
Il Piano per l’assetto territoriale.
Il PAT, piano sovraordinato al PI, risale a dieci anni fa ed è stato concepito prevedendo una espansione demografica ed economica. Queste non si sono verificate ed ora è necessario un ridimensionamento delle previsioni che portino ad un ridisegno delle aree residenziali e all’individuazione dei settori sociali e produttivi e della loro collocazione.
Una delle prime decisioni che dovrà prendere la nuova amministrazione sarà quella di lanciare il concorso per il nuovo Piano per l’assetto territoriale che tenga presente un quadro sociale ed economico che si sta drammaticamente modificando sotto i nostri occhi a causa degli sconvolgimenti in atto in tutto il mondo (pandemie, guerre, clima, emigrazioni di massa).
Funzioni pubbliche.
Il disegno urbano è condizionato da interventi che modificano attività essenziali per la città, quelli che determinano la Città Pubblica. Per Padova sono nevralgiche l’Ospedale, l’Università e la Zona Industriale in cui si concentra la produzione.
Ospedali.
La programmazione della nuova configurazione ospedaliera è stata una delle azioni più rilevanti di trasformazione urbana avvenuta in questi ultimi cinque anni. È stata sancita dall’Accordo di Programma stipulato tra Regione Veneto, Comune di Padova, Provincia di Padova, Azienda Ospedaliera e Università.
L’Accordo stabilisce la presenza di due poli ospedalieri, uno totalmente nuovo nella zona di S.Lazzaro e uno nell’attuale sede di via Giustiniani.
In questi ultimi anni l’esperienza della pandemia ha sconvolto lo scenario su cui si era fondato l’Accordo di Programma, e questa nuova situazione richiede un ripensamento generale all’organizzazione sanitaria e ospedaliera e, di conseguenza, urbanistica.
Solo da queste premesse possono ripartire le proposte dell’organizzazione ospedaliera.
Ospedale Giustinianeo.
Ospedale dei padovani dotato di tutti i reparti ospedalieri necessari per la gestione della salute dei cittadini di tutto l’hinterland padovano in strettissimo coordinamento con le cure territoriali. Non ha senso intasare l’area giustinianea con edifici dedicati all’alta specializzazione (come pediatria e l’edificio per la nuova risonanza 7 Tesla) che eventualmente andrebbero invece inseriti nel contesto dell’ospedale S. Lazzaro.
Ospedale S. Lazzaro.
Ospedale dell’Università e dell’alta specializzazione con attrezzature adeguate e numero di posti letto corrispondenti alle esigenze dell’alta specialità. Un ospedale orientato allo studio e alla ricerca e quindi prevalentemente universitario. In quest’area vanno previste le specializzazioni e quindi le nuove pediatria, ginecologia e ostetricia con una tipologia architettonica adeguata che utilizzi e potenzi il verde esistente nella zona.
La presenza del nuovo ospedale universitario, a ridosso della zona industriale e collegato con l’asse della ricerca e dell’innovazione tecnologica, dà la possibilità di creare sinergie che potrebbero portare ad una nuova configurazione produttiva della città, cosa che andrà attentamente studiata e realizzata su scala urbanistica e funzionale.
Ospedale Sant’Antonio.
Fino al 2019 ospedale dell’ULSS ha garantito il collegamento con il territorio. Deve essere mantenuto efficiente fino alla realizzazione dei due Poli e successivamente deve essere ripensato in una visione di complessiva di riorganizzazione delle strutture ospedaliere.
Zona Industriale.
Il Piano degli interventi, di fatto, nulla dice del futuro del lavoro a Padova.
E’ chiaro che il mondo che ci attende e in cui siamo collocati prevede sia una precarizzazione crescente del lavoro, come pure una sua dequalificazione per molti.
I mestieri che hanno caratterizzato la città, non pochi ad alta e altissima tecnologia, saranno conservati solo in parte se non verranno assunti come una scelta politica precisa e prioritaria da parte dell’amministrazione comunale.
A suo tempo la trasformazione di circa un nono della superficie dell’intero comune in una Zona industriale attrezzata e adeguata alla manifattura e ai servizi, ha consentito a Padova di essere tra le città protagoniste nel Veneto e non solo.
Questa Zona industriale aveva un proprio governo del territorio ed era un’opera pubblica, ovvero un bene comune per l’intera città e provincia.
Ora non è più così perché i soci pubblici hanno deciso di non governare più né lo sviluppo in un’area dedicata, né di mantenere un soggetto pubblico che eviti la sua trasformazione secondo le logiche della rendita immobiliare e non di un disegno che invece incentivi il lavoro sano, qualificato e stabile.
Rivendichiamo che la gestione del territorio della Z.I.P. e la sua evoluzione verso una Zona Industriale Ecologicamente Attrezzata, diventi una priorità politica e amministrativa per l’amministrazione padovana e che essa venga normata per favorirne il controllo, cosa attualmente non contemplata dal Piano degli Interventi.
Questo significa comprendere che la Zona Industriale di Padova è collettivamente un bene comune e come tale deve essere trattata per il fine di un lavoro qualificato, stabile e innovativo.
Attualmente il mercato è stato completamente svincolato e la Logistica ed il Commercio (in gran parte cinese) stanno invadendo tutti gli spazi della zona industriale, espellono la manifattura e oltre a produrre lavoro dequalificato, sottraggono a Padova la possibilità di una crescita tecnologica e l’installazione di nuove imprese che siano in grado di concorrere a livello internazionale ed ecologicamente sostenibili.
Il vero discrimine per una volontà politica che risolva gli errori compiuti con la liquidazione del Consorzio Zona Industriale e la dispersione del suo patrimonio, passa attraverso la creazione di nuovo Ente o Agenzia, dove il Pubblico possa favorire l’insediamento di aziende innovative e favorire la loro crescita attraverso servizi innovativi.
Si tratta di non consegnare il patrimonio dell’intera città, creato prima con il sacrificio degli espropriati della Zona Industriale e poi con il lavoro di decine di migliaia di persone in imprese che avevano saputo creare un’eccellenza a livello regionale. Dove c’era lavoro di alta specializzazione e benessere.
Per questo serve un soggetto Pubblico che oltre a gestire il territorio della Zona Industriale, la trasformi in un’area dove l’ecologia è parte stessa del prodotto, dove la tecnologia può attirare e mantenere le tante competenze create dall’Università e dall’inventiva imprenditoriale. Un Ente pubblico in gradi di generare servizi innovativi alle imprese e a chi lavora e fornisca quella funzione di marketing che ora è consegnata non ad un’idea di sviluppo ma ad una logica di speculazione.
Università.
L’Università è il secondo proprietario immobiliare di Padova dopo gli Enti Ecclesiastici.
L’attività immobiliare dell’Ateneo ha modificato, e ha in progetto di modificare, importanti aree della città. Questi cambiamenti, che coinvolgono 65.000 persone (per contare solo gli studenti), sono rilevanti per l’equilibrio urbanistico della città e devono essere coordinati all’interno della pianificazione territoriale comunale. L’Università deve farsi carico anche delle ricadute sul territorio della sua espansione.
L’attività di ricerca che si svolge all’interno dell’Università dovrà trovare efficaci canali di contatto e collaborazioni con le strutture di ricerca e produttive concentrate soprattutto nella zona industriale.
Questo naturalmente in un quadro in cui la ricerca si sviluppi in piena libertà senza essere condizionata da interessi particolari delle imprese e del mercato.
Zona Fiera.
Questa zona, contigua alle facoltà scientifiche dell’Università, caratterizzata ora anche dal nuovo palazzo dei congressi, dovrà contenere funzioni omogenee di ricerca, confronto scientifico e produttivo (Palazzo dei congressi e Fiera).
È incompatibile con queste funzioni, vitali per l’economia e la cultura della città, la presenza di una struttura per grandi spettacoli come l’Arena della Musica, che l’attuale Amministrazione prevede di localizzare in uno dei padiglioni della Fiera.
Una tale struttura, prevista per spettacoli da 12.000 persone, comporterebbe un richiamo di traffico insostenibile per tutta l’area già troppo densa di funzioni come la Stazioni ferroviaria, la Stazione delle autocorriere, il Tribunale, l’Università, la Fiera e il nuovo Palazzo dei Congressi.
Ci sono altre localizzazioni più adatte per un simile impianto come, ad esempio, il Parco territoriale dello sport .
Quartieri e rioni.
Si dovranno individuare i servizi necessari a tutti i quartieri e rioni e si dovrà operare perché questi servizi vengano opportunamente predisposti utilizzando i meccanismi della compensazione edilizia. Il Comune si farà carico di individuare, sulla base delle indicazioni del PI, le aree più idonee per la localizzazione dei servizi e delle attività di interesse pubblico e proporre dei bandi di iniziativa pubblica per la loro realizzazione.
L’iniziativa pubblica dovrà essere la leva con cui mettere in moto la reale costruzione della “città dei rioni”.
Centro storico.
Anche Padova è coinvolta nel processo di “gentrificazione” che caratterizza le città storiche e d’arte: l’espulsione dal centro storico degli abitanti a reddito medio e basso, delle attività artigianali e commerciali tradizionali di piccole dimensioni, per dar spazio ai B&B, ai negozi di abbigliamento, ai bar con plateatici, insomma alla città delle vetrine, degli spritz e dei turisti.
Questo processo è sostenuto dalla rendita immobiliare che, con le sue regole, incrementa la città degli interessi privati a scapito della città pubblica che trova sempre minori spazi di vita.
Le attività edilizie che si stanno realizzando sono sempre centrate sulla realizzazione di residenze di lusso e su attività di tipo speculativo.
Pur nella cogenza di una legislazione urbanistica volta a favorire la profittabilità degli investimenti immobiliari, il fenomeno della progressiva erosione dell’aspetto pubblico della città, può essere contrastato con gli strumenti urbanistici e fiscali in possesso del Comune. Il contrasto è possibile, ma è necessario un chiaro orientamento politico dell’Amministrazione determinata a disincentivare l’invasività della speculazione immobiliare.
Ex Caserma Prandina.
L’utilizzazione dell’area della ex Caserma Prandina è stato oggetto di un procedimento di partecipazione pubblica attraverso l’istituzione di una apposita Agenda 21. Il risultato dei lavori durati 5 mesi e che hanno visto la partecipazione di 99 associazioni è stato chiarissimo: l’area e gli edifici esistenti dovranno essere usati per servizi sociali e culturali e le aree scoperte per la didattica ecologica e a parco. Il centro di Padova è carente di luoghi di incontro sociale e culturale e soprattutto di aree verdi e boschive necessarie per attenuare gli effetti dell’inquinamento e la formazione di isole di calore.
Il Piano degli Interventi recentemente adottato, prevede per l’area ancora la destinazione a verde pubblico attrezzato.
La prossima Amministrazione dovrà indire un concorso di progettazione dell’area per colmare le ricordate lacune del tessuto urbano, e dovrà escludere categoricamente la realizzazioni di un parcheggio in quella preziosa rea del centro storico.
Piazza Insurrezione.
Il parcheggio nel pieno centro della città deve essere eliminato.
Il sito è ricchissimo di reperti archeologici e può diventare un centro di riferimento per la storia antica della città.
MOBILITÀ
Liberare i centri dalle auto.
È fondamentale liberare dalla circolazione dei mezzi motorizzati sia il centro storico che le zone centrali dei quartieri. Per ottenere questo sono necessarie azioni combinate: l’utilizzazione di parcheggi scambiatori al margine della città, l’eliminazione dei parcheggi nei centri, la realizzazione di una rete di trasporto pubblico efficace.
Parcheggi scambiatori.
Esistono già due parcheggi scambiatori ai capolinea della linea Sir 1 a sud e a nord della città, ne sono previsti altri al capolinea Est della Sir 3 e ai capolinea Ovest e Nord ella Sir 2,
Inoltre ci sono altre possibilità di immediato utilizzo: il parcheggio della Stadio Euganeo e quello dell’ex Foro boario di Corso Australia che possono servire il traffico si provenienza Ovest e Nord-Ovest. Per rendere efficienti quest’ultimi, sarebbe sufficiente aumentare la frequenza della nuova line 21 dell’autobus urbano che, con partenza dallo stadio, potrebbe ridurre i tempi di attesa dai previsti 15-20 minuti a 7-10 minuti, tempi che favorirebbero la disincentivazione dell’ingresso in città in auto.
Parcheggi prossimi al Centro Storico.
Esistono già tre consistenti parcheggi posti tra centro storico o aree ad esso prossime: Il parcheggio Rabin nell’ex Foro boario di Prato della Valle, il Parcheggio Centro difronte a Piazzale Boschetti (ora parco Tito Livio) e il parcheggio della Fiera. Questi parcheggi non raggiungono mai la saturazione e ciò dimostra la possibilità di escludere la creazione di altre aree di parcheggio (Prandina ad esempio) e permette di programmare la progressiva dismissione di quelli esistenti in concomitanza del potenziamento della mobilità pubblica e dell’entrata in funzione dei parcheggi scambiatori.
Trasporto Pubblico.
Il contenimento dell’inquinamento atmosferico è strettamente legato al sistema dei trasporti e il trasporto pubblico svolge un ruolo fondamentale nella riduzione del traffico.
Le tre linee dei tram possono essere in questo senso efficaci, ma così come sono state previste mostrano dei punti problematici, alcuni ormai difficili da risolvere, altri ancora rimediabili.
La linea Sir 3, Voltabarozzo – Stazione ferroviaria, si sta realizzando con un grave difetto funzionale a causa del percorso scelto che devasta il corridoio verde che collegava gli argini del canale Scaricatore con il centro della città e contemporaneamente rende quel tratto praticamente inservibile per gli abitanti che gravitano su via Facciolati, via Crescini e via Forcellini.
La linea Sir 2, ancora in fase di progettazione, potrebbe essere migliorata risolvendo il nodo della Stazione ferroviaria in cui si intersecano le tre line tranviarie e la stazione delle autocorriere.
Oltre alle linee tranviarie è necessario prevedere una rete di linee di autobus che colleghi i quartieri tra loro, i quartieri con il centro e i parcheggi scambiatori con il centro.
[1] ricerca pubblicata di recente sul Lancet Planetary Healt,
[2] Ming Kuo dell’Università dell’Illinois