La crisi dell’economia globale si abbatte come uno tsunami sull’economia mondiale. Per una economia come quella veneta che ha nel turismo e nelle esportazioni i suoi assi trainanti, si tratta di un vero e proprio cataclisma con conseguenze gravissime sulla tenuta dell’intero sistema e con effetti devastanti sull’occupazione e sul reddito, soprattutto nei settori più deboli del mercato del lavoro. È bene ricordare sempre, che il 20% della popolazione del Veneto (dati dell’ufficio regionale di statistica) vive con un reddito che è inferiore o di poco superiore alla soglia della povertà relativa. Questa percentuale è destinata nel prossimo futuro ad aumentare moltissimo. Già sono sufficienti i dati relativi alle richieste di accesso alle varie forme di sussidio, dalla sospensione dei mutui ai buoni spesa dei comuni, per comprendere che siamo di fronte alla crescita di vaste aree di povertà assoluta e relativa nella nostra regione. Né questa situazione potrà essere superata da un ritorno alla “normalità”, alla situazione precedente alla crisi pandemica perché questo non è materialmente possibile. Sicuramente il turismo, di cui era prevista una crescita costante, e le esportazioni in generale subiranno una forte flessione in un periodo non breve, accompagnata da una decisiva caduta dei consumi interni se non saranno favoriti da forti misure di sostegno al reddito che ne sostengano la tenuta.
Il sistema produttivo del Veneto, nonostante i profitti cresciuti negli scorsi anni, favoriti anche da generosi contributi diretti e indiretti dello stato, ha mantenuto in larga parte le sue debolezze strutturali: bassa capitalizzazione e poca capacità di innovazione. Questa intrinseca debolezza, superata soprattutto nelle subforniture attraverso forme di sfruttamento intensivo del lavoro e i bassi salari, diventa fattore ulteriore di vulnerabilità in un quadro di contrazione dei mercati, la cui ripresa non è prevista, certamente nel breve periodo. Se, quindi, l’intervento pubblico è indispensabile è anche del tutto evidente che questo non può non avvenire che secondo chiare linee programmatorie. Queste linee non possono non avere come assi portanti la sostenibilità ambientale e sociale delle produzioni e delle attività economiche.
Come dire una rivoluzione in un sistema di imprese che nel Veneto è, è stato, in larga parte basato sullo sfruttamento dell’ambiente e del lavoro. Non a caso viviamo in una delle aree e più inquinate del pianeta e non solo in virtù dell’aria che respiriamo. Cose note su cui non è il caso di soffermarsi.
Nel crollo o, perlomeno, nel potente stop ai commerci e alle produzioni legate alle filiere delle produzioni e del commercio internazionale, nella tendenza a contrarre gli spazi del mercato globale dentro aree più ristrette, la necessità del rilancio delle produzioni legate ai consumi interni diventa ancora più decisiva. Un esempio valga per tutti. La delocalizzazione o meglio la concentrazione in paesi determinati della produzione di mascherine e altri Dpi e dei reagenti per i tamponi che ne ha a lungo rarefatte le disponibilità, è stata anch’essa una delle cause di diffusione del Coronavirus nei primi mesi della pandemia in Italia. In questo contesto di obiettiva contrazione delle filiere, diventa ancora più logica ed evidente la necessità di riconvertire le produzioni in un quadro di compatibilità ecologica a partire dalle filiere corte in agricoltura, rilanciando anche per questa via la sovranità alimentare, fuori dalla logica dei trattati internazionali che favoriscono le multinazionali del settore. Stop Ceta e Ttip.
Più in generale fuori dalle logiche competitive imposte dal mercantilismo liberista va riscoperta una prospettiva delle relazioni cooperative a livello globale.
In Veneto, la crisi delle banche popolari ha messo in luce l’intreccio perverso tra il sistema bancario, la speculazione immobiliare e il sistema di impresa. Nella nostra regione, intreccio tra rendita e profitto ha visto attivi gli stessi protagonisti, gli imprenditori, con la politica a fare da spalla anche in questo caso in modalità assolutamente bipartisan. Qui la tesi ricardiana dell’inizio dell’Ottocento del carattere speculativo della rendita, allora agraria, a fronte del carattere progressivo del capitalismo industriale non regge alla prova dei fatti. Dentro i capitali di tante intraprese immobiliari ci sono le società della grande e piccola imprenditoria veneta. I padroni del Veneto, piccoli e grandi, hanno le principali responsabilità nell’inquinamento e nella cementificazione del territorio con la complicità della politica.
Il controllo dal basso del flusso di denaro pubblico che ci sarà, è indispensabile per impedire che lo scempio continui. È un terreno di conflitto sociale e politico a cominciare dalla lotta contro le grandi opere. Detto questo, è ovvio che una particolare attenzione va rivolta alle attività artigiane e alle piccole imprese che vanno sostenute per far fronte ai cali di mercato e alla crisi di liquidità. Questi interventi vanno, se non nell’immediato, almeno nel medio periodo resi disponibili a fronte di un corretto uso delle risorse disponibili secondo linee che garantiscano buona occupazione e responsabilità ambientale. Sempre nel campo delle Pmi, e sempre coerentemente a un disegno chiaro di politica industriale, è anche necessario costruire centri dedicati al loro possibile sviluppo, sia finanziario che tecnologico.
